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"Reporter d'inchiesta e copertura: vi racconto come ci si difende dalle reazioni violente"

Rajae Bezzaz, docente del corso di videogiornalismo di inchiesta alla Newsroom Academy e inviata di Striscia la Notizia, racconta cosa fare se si viene scoperti quando si lavora sotto copertura

"Reporter d'inchiesta e copertura: vi racconto come ci si difende dalle reazioni violente"

Per il giornalista investigativo, che opera undercover, saper usare con scioltezza gli strumenti di videoregistrazione occulta può essere la garanzia del successo di un’inchiesta. Ma anche di una via d’uscita sicura da una situazione che si complica. Mezzi indispensabili che se “piazzati” male, però, fanno saltare una copertura. Come evitarlo e come gestire un interlocutore che, scoperta la telecamera nascosta, non la prende bene ce lo ha spiegato l’inviata di Striscia la Notizia Rajae Bezzaz che, insieme ad altri grandi nomi del giornalismo italiano, parteciperà alla nuova masterclass di The Newsroom Academy di video giornalismo investigativo diretta da Alessandro Politi e organizzata da Il Giornale e InsideOver.

Qualche trucco per non farsi beccare quando si indossa una telecamera nascosta?

Ogni telecamera, anche la più piccolina, ha un obiettivo con delle lenti che per quanto minuscole riflettono una luce se le viene puntata contro. Quindi, è molto importante che venga “piazzata” perfettamente da mani esperte, i miei collaboratori sono decisamente i migliori sul campo a mimetizzare le microcamere, per il resto occorre mantenere una postura disinvolta avendo cura di non rivelare la microcamera con gestualità sbagliate.

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In un confronto decisivo per l’inchiesta, come si riesce a farsi dire ciò che serve senza andare troppo oltre e, quindi, farsi scoprire?

Dalla mia esperienza personale posso dire che uno dei primi elementi necessari sul campo è l’empatia. È molto importante instaurare un clima di fiducia con l’interlocutore, pur non condividendo le idee e le azioni. In questo modo sarà più disposto ad aprirsi, a dire la verita e raccontarsi.

Ti è mai capitato che ti scoprissero?

Sì, è accaduto. Dopo aver ricevuto una segnalazione mi sono recata sotto mentite spoglie presso un ente di accoglienza per verificarne le condizioni. Mi sono presentata munita di microcamera, cammuffata da donna in difficoltà buttata fuori di casa dal marito violento. Sono stata quasi 40 minuti all’interno del centro durante i quali ho cercato di raccogliere più immagini e testimonianze possibili, parlavo pochissimo con un filo di voce per non fare saltare la mia copertura. Nonostante tutta l’attenzione il direttore del centro è venuto da me e guardandomi dritta negli occhi mi ha detto: “Rajae, adesso spegni le telecamere”. La mia voce mi ha tradita.

Hai sbagliato qualcosa tu o è stato bravo chi ti ha scoperta?

Sono sempre molto critica con me stessa e non posso dire di aver fatto tutto perfettamente, ma il direttore è stato bravissimo a scoprire che non ero quella donna in difficoltà che dicevo di essere. Ha avuto un occhio più fine della microcamera che indossavo e un orecchio veramente attento.

Dopo cosa hai fatto?

Non sempre tutto va come deve andare, ma si deve essere propositivi e avere molta inventiva, in quel caso ho fatto leva sul mio innato senso dell’umorismo e ho usato la mia simpatia per raffreddare gli animi. I miei collaboratori mi definiscono una “problem solver” sopratutto in situazioni estreme.

masterclass

A volte chi scopre di essere registrato, però, la prende male e può avere reazioni anche violente. Come va gestito?

Sì, questo succede spesso, ci sono alcune “carte” da giocare per evitare che ci sia una escalation di violenza grave. Prima di tutto, si deve mantenere una postura naturale ma ferma, in modo tale che il peso sia distribuito su entrambi i piedi. Si deve fare molta attenzione a mantenere la distanza dal soggetto a non meno di 50-60 cm per non invadere la sua “zona intima”. Chi è arrabbiato ed alza la voce in realtà vuole essere ascoltato, quindi la persona che hai davanti deve percepirti sempre come qualcuno disposto ad ascoltarlo e dotato di empatia.

E come si fa?

Va guardato direttamente negli occhi, senza mai abbassarli mantenendo uno sguardo aperto e tranquillo, questo perché se si guardasse altrove si trasmetterebbe un chiaro messaggio di difficoltà e di voler fuggire dalla situazione. Per ultima, ma non meno importante, si deve giocare la carta dell’accondiscendenza, rispondere in modo assertivo senza giudicare.

Funziona?

In genere riesco a gestire da sola la situazione, e il più delle volte davanti alle telecamere.

Ad ogni modo, posso sempre contare sui miei collaboratori, che mi sono accanto sempre pronti ad intervenire in caso di pericolo.

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