
Smartphone e droga in cella? Arrivano dal cielo. Non è certo un caso isolato quello che l’altro giorno ha visto il rapper Baby Gang videochiamare dal palco (a Catania) il collega trapper Niko Pandetta, anche se quest’ultimo, nipote del boss catanese Turi Cappello, si trovava nella sua cella dove è detenuto per spaccio di droga. I telefonini, dietro le sbarre, sono fin troppo diffusi. Come peraltro la droga. Due categorie merceologiche che, in galera, sono più appetibili come business.
A quanto pare in carcere uno smartphone arriverebbe a costare anche 3-4mila euro. E lo spaccio di droga tra detenuti frutta ai pusher 10 volte più del prezzo sul mercato “esterno”. Così, l’altro giorno, nel carcere di Lecce, che ha un sovraffollamento di oltre il 60 per cento (1300 detenuti per meno di 800 posti), la polizia penitenziaria ha fatto un blitz a sorpresa cella per cella. Trovando quasi 400 grammi tra hashish e cocaina, oltre a una dozzina di telefonini.
Lo rende noto il Sappe, con una nota del segretario nazionale Federico Pilagatti, rimarcando la preoccupante crescita dei voli dei droni-postini per i detenuti. “Un fenomeno dilagante a cui l’amministrazione penitenziaria oppone una resistenza minima o inesistente”, scrive il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, che suggerisce come ricetta poco tecnologica ma efficace (ed economica, che non guasta) per arginare il problema, la sistemazione di “reti davanti alle finestre delle stanze, oppure negli spazi aperti frequentati dai detenuti”.
A Lecce nemmeno un mese fa, a metà aprile, sempre la penitenziaria aveva sequestrato nella stessa struttura 9 smartphone e 300 grammi di stupefacenti, anche in quel caso “piovuti dal cielo”. E a quanto pare i “corrieri aerei” per le merci dirette dietro le sbarre hanno già messo a punto sistemi per aggirare i controlli. Per esempio, anche nelle carceri dove sono in funzione sistemi anti-drone (fucili, reti, sensori, contromisure a radiofrequenza) pare che i “postini” mandino in volo i droni a coppia, in modo che se il sistema ne intercetta uno, mentre è impegnato nella “caccia” l’altro passa in tutta tranquillità, potendo perfezionare la consegna addirittura fino alla finestra (se priva di rete) del destinatario.
Così, come unico freno all’andazzo, per il momento c’è il lavoro “a valle” degli agenti di polizia penitenziaria, che con i loro sequestri contengono la mutazione delle prigioni in piazze di spaccio e le comunicazioni illegali dei detenuti con l’esterno. Anche per questo il Sappe, dopo aver rimarcato le condizioni di sovraffollamento del carcere di Lecce, oltre a complimentarsi con i pochi colleghi in servizio nel penitenziario salentino “che con coraggio e senso di responsabilità continuano a lavorare per garantire livelli minimi di sicurezza”, sollecita due misure “non differibili”.
Chiedendo all’amministrazione penitenziaria “di intervenire con urgenza al fine di ridurre il sovraffollamento del penitenziario leccese, nonché di inviare un nucleo di almeno 100 unità di poliziotti penitenziari”, proprio per frenare l’emorragia di personale che “continua a diminuire sempre di più a seguito di pensionamenti o malattia”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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