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Spari a Palazzo Chigi, Luigi Preiti: "Ecco perché 10 anni fa sparai al carabiniere"

Dieci anni fa la sparatoria davanti a Palazzo Chigi in cui rimase gravemente ferito il brigadiere Giuseppe Giangrande. Ad aprire il fuoco fu Luigi Preiti che, nel 2016, fu condannato a 16 anni per tentato omicidio: "Oggi vorrei chiedere scusa"

Spari a Palazzo Chigi, Luigi Preiti: "Ecco perché 10 anni fa sparai al carabiniere"
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"A Giangrande penso sempre, non dico ogni giorno ma quasi. Convivo con questo rimorso e dovrò farlo probabilmente per tutta la vita. Credo sia questa la mia condanna più dura". A parlare all'Adnkronos è Luigi Preiti, l'uomo che il 28 aprile del 2013 aprì il fuoco con una Beretta 7.65 davanti a Palazzo Chigi ferendo in modo gravissimo il brigadiere dei carabinieri Giuseppe Giangrande. "In testa avevo Berlusconi, Bersani o Monti, erano loro i miei obiettivi. - confida il 60enne, che oggi si trova recluso nel carcere di Rebibbia in attesa di scontare la condanna a 16 anni per tentato omicidio - Colpire almeno uno di questi significava nella mia testa prendersi una rivincita per conto di tanti italiani nella mia stessa situazione, disoccupati nel pieno di una crisi economica che allora sembrava avrebbe affossato il Paese".

Gli spari a Palazzo Chigi

Era il 28 aprile di 13 anni, una domenica. Luigi Preiti, ex muratore disoccupato di Rosarno (Calabria) sparò ad altezza uomo davanti a Palazzo Chigi dove Enrico Letta giurava da premier nelle mani dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Un proiettile colpì il brigadiere Giuseppe Giangrande, rendendolo tetraplegico a soli 50 anni. "Quel giorno partii dalla Calabria con la pistola che avevo comprato illegalmente dopo che i ladri provarono a entrare in casa - ricorda Preiti - Scelsi proprio quel giorno per andare a Roma perché c'era il giuramento del nuovo governo, ho pensato che lì avrei trovato sicuramente un politico. Ero convinto che colpendone uno avrei vendicato quelli come me. (...) Sbagliavo. Io, che pur non volendolo ammettere ero in balia della depressione, commisi allora quello che poi si è rivelato il più grande errore della mia vita".

Il carcere

Dopo il ferimento del carabiniere, Preiti tentò di suicidarsi. "Ero convinto che mi avrebbero sparato, pensavo di andar lì a prendermi la mia rivincita per poi morire per mano dello Stato che avrebbe dovuto proteggermi. - spiega - Per questo ai carabinieri chiesi perché non mi avessero sparato". A maggio del 2016, l'ex muratore fu condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per tentato omicidio. "Ricordo la prima notte in carcere come un incubo, non ho dormito per parecchio tempo - continua - piangevo in continuazione, non mi capacitavo di quello che avevo fatto perché non era quel carabiniere il mio obiettivo. Anzi, Giangrande è stato una vittima del sistema proprio come me".

Una nuova vita

Un uomo dal vissuto personale tormentato e difficile ma che oggi, a dieci anni da quel tragico giorno di aprile, sta provando a rifarsi una vita. "Oggi mi sono fatto una cultura dietro alle sbarre, ho studiato lettere e filosofia - racconta ancora Preiti - Allora ero ignorante, mai lucido tra il lavoro che mancava e la separazione da mia moglie, rimasta in Piemonte insieme a mio figlio, che non vedevo da 8 mesi. Basti pensare - ricorda - che andai lì convinto di essere a Montecitorio, invece mi trovavo davanti a Palazzo Chigi e non c'era proprio nessuno". Da un anno e mezzo, con l'articolo 21 esterno, ha ripreso a lavorare: "Esco ogni mattina alle 6 e rientro in carcere alle 19.30 faccio il muratore, piastrellista all'occorrenza".

Il pentimento

Preiti racconta di essersi subito pentito di aver sparato al militare. "Da quel giorno vivo con un peso enorme sul cuore, -dice - quello di aver costretto alla sedia rotelle un uomo che nulla c'entrava con la mia depressione, con il mio malessere. Oggi non lo rifarei mai" . Nel 2026 tornerà in libertà: "Il mio sogno è quello di vedere il mare, che non vedo da 10 anni. Correrò poi in Piemonte per riabbracciare mio figlio. E vorrei incontrare Giangrande, al quale ho scritto diverse lettere, come pure ho fatto con la figlia Martina, ma loro non vogliono avere nulla che fare con me e io li capisco perché forse anche io mi comporterei così, non posso certo biasimarli". Poi conclude: "Se dovessi ritrovarmelo davanti, oggi al carabiniere chiederei scusa, gli direi che non volevo colpire lui, che non ho mai avuto nulla contro le forze dell'ordine.

Se potessi tornare indietro mai e poi mai rifarei una cosa simile".

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