
Arriva la sentenza da parte del tribunale di Roma nei confronti di Enrico Varriale, noto giornalisti televisivo finito a processo con l'accusa di stalking e lesioni. La condanna inferta al cronista è di 10 mesi, pena sospesa.
Secondo quanto emerso fino ad ora, i giudici hanno tenuto fondate le accuse nei confronti dell'imputato. Stando alla ricostruzione, l'ex vicedirettore di Rai Sport risulta indagato per stalking e lesioni nei confronti dell'ex compagna a partire dal 2021. La donna aveva denunciato di essere stata insultata e picchiata lui. Nei confronti dell'uomo era quindi scattata la misura cautalare del divieto di avvicinamento. Pare ci sia una seconda indagine partita dopo una seconda denuncia presentata da un'altra donna. "In molte storie sentimentali capita che una delle due parti voglia terminare la storia e che l'altra parte invece non si rassegni, mettendo in atto comportamenti esasperanti, ed è ciò che abbiamo visto in questa vicenda", ha dichiarato il pubblico ministero, come riportato dalle agenzia di stampa. Sono stati i giudici della IV Sezione Penale del Tribunale di Roma ad emettere la condanna.
"In molte storie sentimentali capita che una delle due parti voglia terminare la storia e che l'altra parte invece non si rassegni, mettendo in atto comportamenti esasperanti, ed è ciò che abbiamo visto in questa vicenda"" commenta l'avvocato Fabio Lattanzi, difensore di Varriale.
Soddisfazione, inece, da perte di Teresa Manente, dell'ufficio legale di Differenza Donna. "Espimo soddisfazione per la sentenza, che ha riconosciuto la responsabilità penale dell'imputato per il reato di atti persecutori e per l'aggressione fisica ai danni della mia assistita, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali", ha dichiarato, come riportato da FanPage. "Questo processo è stato anche una denuncia pubblica contro la normalizzazione della violenza nelle relazioni intime. Nessun 'dispiacere', nessun preteso 'amore' può giustificare una relazione che si fonda sul controllo, sull'intimidazione, sull'umiliazione e sulla violenza.
Le parole usate dall'imputato – 'troia, mignotta'– e le sue azioni – pedinamenti, minacce, aggressioni – parlano da sole e descrivono un modello di possesso che non ha nulla a che vedere con l'affettività", ha concluso.