
Il letterato cinese Liang Shiqiu sosteneva che l'insulto andrebbe inserito tra le arti marziali, proprio come il judo e il karate. E come tutte le altre arti marziali ha le sue regole e le sue tecniche. Per usare le parole di questo dotto orientale: "L'arte dell'insulto richiede un alto livello di risolutezza e di profonda abilità mentale; non significa che ognuno possa fare ciò che gli pare e persino parlare in modo sventato". Va da sé che in cotesto ring di combattimento gli scrittori dovrebbero essere dei veri e propri pesi massimi. E infatti dalla garbata polemica letteraria alla rissa verbale, magari anche con aggiunta di sberloni o di tradizionale duello il passo è breve. Per accorgersene niente di meglio del piccolo e brillante saggio di Giulio Passerini: Inimicizie letterarie (Italo Svevo editore, pagg. 140, euro 16).
Un librino elegantissimo, di quelli in cui bisogna lavorare di lama per aprire le pagine ancora in cartoccio tipografico, dentro il quale è racchiusa ogni nequizia ma scritta con grandissima classe. Una vera giardiniera di aggressioni letterarie messe in conserva sott'odio.
Qualche esempio? Il record di cattiverie verso i vivi e verso i morti potrebbe spettare a Vladimir Nabokov (1899 - 1977). Un piccolo florilegio delle sue garbate opinioni. Ezra Pound: "Un autore disgustoso di pretenziosi nonsense". Brecht, Faulkner o Camus: "Semplicemente per me non esistono, i loro nomi sono seppelliti in un cimitero vuoto". Quanto a Hemingway: "Lo lessi per la prima volta agli inizi degli anni Quaranta, qualcosa su campane coglioni e tori". Sono solo esempi, ne aveva anche per Borges, Bellow, Eliot... Ma il bersaglio preferito di Nabokov era niente meno che Dostoevskij (1821 - 1881) che da morto non poteva difendersi. "La mancanza di gusto di Dostoevskij, il suo monotono trattare di personaggi sofferenti di complessi prefeudiani, il suo modo di sguazzare nelle tragiche sventure dell'umana dignità, tutto ciò è difficile da imitare". Arrivò a dare il via a quella che potremmo quasi considerare una campagna di diffamazione accademica.
Ecco, prendersela con colleghi morti è forse la pratica più antipatica, che per altro non evita di finire nei guai... Spostiamoci guidati da Passerini su un caso molto più recente: Bret Easton Ellis che se la prende con il fantasma di David Foster Wallace (1962 - 2008). Tra i due non correva buon sangue in vita. Nel 1993 Foster Wallace aveva così etichettato American Psycho: "Asseconda spudoratamente il sadismo del pubblico, ma alla fine è chiaro che l'oggetto reale del sadismo è il lettore stesso...". Ellis aveva a più riprese risposto etichettando Foster Wallace come "lo scrittore più sopravvalutato della nostra generazione". Ma nei suoi tweet dopo la morte, per suicidio, del collega si è spinto ben più in là: "David Foster Wallace possedeva una tale pretenziosità letteraria da farmi vergognare di appartenere alla stessa industria editoriale". Scoppiò un pandemonio a livello mondiale con comprensibile linciaggio di Ellis. Che del resto si era già esibito sulla morte di J. D. Salinger (1919 - 2010): "Yeah! Grazie a Dio è finalmente morto. Aspetto questo fottuto giorno da sempre. Stasera festa". Ma in quel caso se la cavò arrampicandosi sugli specchi e dicendo che festeggiava la liberazione di Salinger dall'assedio mediatico che tanto l'autore de Il giovane Holden odiava. Tra tante cattiverie a livello di letteratura mondiale - uno degli scontri più micidiali fu quello tra Truman Capote e Gore Vidal - non immaginatevi che il piccolo stagno della letteratura italiana offra di meno, anzi c'è pure il sangue.
Prescindiamo dallo storico scontro tra Gabriele d'Annunzio (1863 - 1938) e Filippo Tommaso Marinetti (1876 - 1944) che tutti ricordano per "Un cretino Fosforescente" (d'Annunzio su Marinetti) e "La Montecarlo di tutte le letterature" (Marinetti su d'Annunzio).
Il caso Ungaretti-Bontempelli è più tipico della difesa degli orticelli che caratterizza tutte le letterature ma ancor di più i ristretti spazi della nostra. Giuseppe Ungaretti (1888 - 1970), molto in auge sotto il fascismo, si sentiva l'ambasciatore ufficiale della cultura italiana in Francia. Massimo Bontempelli (1878 - 1960) con il lancio della rivista 900 Cahiers d'Italie et d'Europe rischiava di insidiare il suo ruolo. Si partì a malignità e pettegolezzi propalati sui giornali per passare agli schiaffoni in pubblico al Caffé Aragno, il più frequentato dagli intellettuali romani e per chiudere in bellezza con un duello alla spada nel giardino della villa in via Nomentana di Luigi Pirandello. Ovviamente con vasto pubblico e giornalisti presenti anche se i duelli erano formalmente vietati. Finì con il braccio di Ungaretti infilzato per tre centimetri ed una pace armata. A confronto il pugno in un occhio che Mario Vargas Llosa diede a Gabriel García Márquez nel 1976 per una questione di coppie, corna et similia è benevolenza.
Ma in fondo non è la storia più violenta, si fecero molto più male a parole Amalia Guglielminetti (1881 - 1941) e Pitigrilli (1893 - 1975). All'inizio poetessa seduttiva lei e giornalista innamorato e discepolo lui... Poi concorrenti con riviste ad alte tirature con scambio di reciproche accuse. E pubblicazioni di battutacce pari a quelle dei trapper di oggi anche se abbellite da un uso altissimo del lessico italiano che i trapper si sognano. Pitigrilli sulla rivista della Guglieminetti: "Noi che siamo assidui lettori di quella rivista (vista e rivista) ci siamo comperati un leggio isolante di ebanite per poter leggere, senza distogliere le mani dagli amuleti a guida interna, le belle inedite novelle ivi contenute. Ma la potenza malefica... dev'essere catastrofica, poiché a lettura finita, ci siamo trovati con gli amuleti rotti".
Guglielminetti su Pitigrilli: "Prima di parlare di Pitigrilli è bene toccare i... ciondoli o, se si vuole, i... pitigrilli". Finì in tribunale e con due vite distrutte. Soprattutto quella di lei.Ma in fondo a Quasimodo andò peggio solo per aver vinto il Nobel. Leggere Passerini per credere.