Controcultura

Negli arazzi la tecnica riprende il filo dell'arte

Da Cagli a Capogrossi, fino a Miró e Kandinsky Le manifatture e l'aspirazione murale della pittura

Negli arazzi la tecnica riprende il filo dell'arte

Come una esperienza irripetibile, alla parola «arazzi» ci vengono alla mente ricche e varie e preziose manifatture fiamminghe, ricche e fiorite come giardini. Si tratta di traduzioni di disegni o dipinti anche e soprattutto italiani. In età contemporanea gli arazzi non sono più fiamminghi e le fonti di ispirazione non sono più italiane. L'esposizione veneziana a palazzo Zaguri in campo San Maurizio, «Da Kandinsky a Botero. Tutti in un filo», ci mostra un nuovo aspetto della tradizione degli arazzi, che incardina la sua fabbrica in Italia nella Certosa di Valmanera vicino ad Asti, un monastero vallombrosano, dove si fonda una nuova tradizione che ha appena compiuto sessant'anni.

La manifattura esordisce nel 1957 per determinante iniziativa di Ugo Scassa. Avvia il suo percorso con il nome Italia Disegno, laboratorio di produzione di tappeti annodati a mano; e, nel 1960, si trasforma in Laboratorio di tessitura di arazzi con telai ad alto liccio. Nello stesso anno vince la gara per la decorazione del salone delle feste del transatlantico «Leonardo da Vinci», con sedici arazzi, di cui sei di Corrado Cagli, tre di Antonio Corpora, tre di Giulio Turcato, due di Giuseppe Santomaso, uno di Giuseppe Capogrossi, ancora firmati Italia Disegno. Con il nome Arazzeria Scassa il laboratorio continua la produzione per le navi Michelangelo (con dodici pezzi) e Raffaello (con ventiquattro pezzi). Inizia così un periodo straordinariamente fertile, in cui l'arazzeria produce intensivamente per committenze pubbliche e private. Oltre ai grandi artisti italiani, che disegnano direttamente su richiesta di Ugo Scassa, l'arazzeria traduce in nobili forme anche i pensieri più acuminati di Paul Klee, di Max Ernst, di Vasilij Kandinsky, così come quelli più edulcorati e decorativi di Henri Matisse, Joan Miró e Salvador Dalí.

Accade nella trasposizione che gli arazzi esprimano un'estetica più calda e accogliente dei dipinti che li originano, stabilendo un'autonoma estetica che fa dei dipinti dei grandi maestri del Novecento il pretesto per un'immagine nuova. Scassa aveva stabilito una intesa di invenzioni condivise con Casorati, Spazzapan, Afro, Capogossi e soprattutto Corrado Cagli che, attraverso la tecnica dei tessuti su grandi telai ad alto liccio, potenziano la loro espressività. Determinante l'incontro con Corrado Cagli, un artista sperimentatore che indirizza Scassa, e da lui trae stimoli a un procedimento che valorizza l'invenzione e la decorazione, prima con le grandi superfici in affresco, poi con gli arazzi di grandi dimensioni, sulle navi, perché, come intendeva Leonardo, «la pittura è cosa mentale».

Così già scriveva Cagli nel 1933, come in attesa dell'incontro con Scassa: «A convogliare la forza della pittura contemporanea occorrono i muri, le pareti. Segnalata l'aspirazione murale della pittura odierna, l'altro fatto importante da considerare riguarda l'architettura. Alludo alla crisi estetica che va traversando quell'arte, crisi che ancora più si inasprirà il giorno che il razionalismo sarà divenuto patrimonio comune. Ho sostenuto altrove che i ritmi dell'architettura contemporanea sono in funzione di una metafisica troppo scoperta, e collaborano a un'estetica, dopo tutto, barbarica. Respinti, per le ragioni che tutti sanno, moduli e fastigi, modanature e capitelli, l'architetto innovatore ha ritrovato dell'architettura il senso e il metro; ma, insieme a queste altissime conquiste, ha contratto vizi stilistici e incongruenti ripugnanze. Questa è la stagione in cui la parete bianca non chiede alla statuaria soccorso per divenire allusiva e profonda, né chiede le figurazioni dipinte per un'errata interpretazione delle parole sintesi e metafisica. In nome di queste due virtù si è operato in povertà e vaneggiamento, se perfino Modigliani, che è dei più grandi, è stato piuttosto sommario che sintetico. L'architetto che non ha il senso orchestrale dell'unità delle arti non è raro oggi, ma si trova in condizioni di barbarie. A questo punto conviene ricordare che barbarico non significa primordiale. Allora, passato col vento su tali questioni della pittura e della architettura, considerati i caratteri essenziali che sono, nell'una la volontà di potenza e l'aspirazione ciclica, nell'altra l'intelligenza della costruzione fino all'inaridirsi della fantasia, vedo che si può concludere invocando la collaborazione delle arti, se non la fine delle specializzazioni».

L'unità delle arti estende la pittura alle «traduzioni» in mosaico e in arazzo, e nessuno vi appare più predisposto di Cagli. Su una nave la superficie dell'affresco si fa arazzo. Poi Scassa si misura, analogamente, con Miró, con Klee, con Ernst, con Botero, e ne intende le segrete armonie, anche soltanto nell'amplificarne le dimensioni, come aveva fatto con Cagli. Nel caso degli artisti stranieri, con i suoi arazzi Scassa ha contribuito a fare conoscere e a diffondere, senza diminuirne la tensione estetica, le opere dei padri delle nuove esperienze artistiche del Novecento. A questa intuizione, e a questa potente e innovativa espressività, Ugo Scassa ha dedicato tutta la sua vita, compiendo un'impresa unica, fino alla sua morte, nel 2017. Chi ne vede, oggi, in palazzo Zaguri, i risultati, deve riconoscere che, con Scassa, l'antica tecnica dell'arazzo è diventata un'arte nuova.

Anche il pensiero più difficile rivela la sua predisposizione a farsi rassicurante per la nostra felicità sinestetica.

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