Negli Usa il Cavaliere non sarebbe alla sbarra

In America la Corte Suprema riconosce una sorta di legittimo impedimento e si muove verso qualcosa che assomiglia molto al lodo Alfano...

Negli Usa il Cavaliere 
non sarebbe alla sbarra

Il rischio di trovarsi a cena con un costituzionalista americano è che si scoprono cose sorprendenti. Per te e per lui. Per esempio lui, il costituzionalista, scopre che la giustizia italiana è di un altro pianeta. Tu, invece, vieni a sapere che negli States la Corte Suprema riconosce una sorta di legittimo impedimento e si muove verso qualcosa che assomiglia parecchio al lodo Alfano. Non ci credete? Questo è il racconto di una chiacchierata con Jospeh Blocher, professore di diritto Costituzionale alla Duke University della North Carolina. La domanda, la sua, la prima, è stupefacente: «Ho una curiosità, ma com’è che in Italia si può mettere sotto indagine un premier mentre è in carica?». Philadelphia, ora di cena, qualche giorno fa. Blocher dice: «Sai, questa è la mia materia. Sono affascinato. Non avete l’immunità in Italia?». Gli spieghi che ce l’avevamo, l’immunità, ma fu tolta sull’onda emotiva di Tangentopoli. Poi aggiungi: però i deputati italiani al Parlamento europeo ce l’hanno. Blocher si ferma: «Ma da noi, in America, tutto questo sarebbe impossibile. Il nostro capo del governo, cioè il presidente, non potrebbe mai essere processato durante il suo mandato». Lì ti fermi tu, però. Ma come, e Clinton? L’hanno sputtanato, indagato, vivisezionato, incriminato. Monica Lewinsky, sexgate e tutto il resto? «È diverso. Clinton fu messo sott’inchiesta per un reato legato al suo ruolo. Lui, da presidente, era accusato di tradimento alla nazione». Il colloquio è inatteso e sorprendente. Perché da anni ci dicono che all’estero ci prendono in giro, ci raccontano che negli altri Paesi i leader si fanno processare senza problemi e nessuno s’oppone. Poi arriva questo giovane costituzionalista e smonta i teoremi che qualcuno ha pensato di costruire. Blocher è specializzato nei casi della Corte Suprema Usa. La sorpresa allora è doppia. Perché la chiacchierata continua: il professore cita sempre Clinton per un’altra storia. Il presidente ed ex governatore dell’Arkansas fu citato in giudizio. Lui fece istanza per ottenere una forma di immunità, la Corte Suprema la negò, ma sostenne che la corte competente sul caso avrebbe dovuto tenere conto del ruolo istituzionale di Clinton e quindi avrebbe potuto tranquillamente rimandare il caso al termine del mandato. Strano, no? È una versione verbale che abbraccia il nostro legittimo impedimento e il nostro lodo Alfano: il processo si interrompe, non si ferma, e riprende quando uno smette di avere un ruolo istituzionale. Di più, perché Blocher aggiunge altro: «Oggi la Corte Suprema americana probabilmente farebbe anche di più. Se fosse investita di un caso analogo, probabilmente sarebbe anche più precisa per l’introduzione di una forma di immunità». Non ci credi, non può essere. Forse è uno strano gioco per ironizzare su di noi. Sull’Italia. No. Spiega: «È pazzesco. Siete un caso da studiare come esempio della perversione del rapporto tra politica e giustizia. Quante inchieste ci sono contro Berlusconi?». Non si contano, ma non conta. Continua così, con una domanda, un’altra: «Ma perché non aspettano che non sia più premier per giudicarlo meglio?».

La risposta è la più banale: perché se non fosse premier non sarebbe stato sempre indagato. Poi finisce con una domanda che vale anche da sola, senza che sia necessario replicare: «Scusa, ma da voi, come in America, i giudici vengono nominati da una parte della politica?».

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