Nekrosius: «Dirigo un’opera che insegna a perdonare»

L’artista: «Mi piace la gente italiana, perciò vengo spesso qui. I Paesi ex comunisti non pensano al futuro»

da Cagliari

Cantanti e podio, affidato a Alexander Vedernikov, sono del Bolshoi di Mosca. Giocano invece in casa masse corali e orchestra, appunto del teatro di Cagliari. L’allestimento porta la firma di una famiglia d’eccezione. I Nekrosius: in testa Eimuntas, il superbo regista lituano, Nadezda, la moglie costumista, e Marius, il figlio scenografo. Così confezionata, la Leggenda della città invisibile di Kitez e della fanciulla Fevronija debutta a Cagliari domani (repliche fino al 4 maggio) inaugurando la stagione di lirica e balletto. L’opera di Rimskij-Korsakov su libretto di Belskij volerà quindi a Mosca, con cui è coprodotta, inscenata dal 10 ottobre.
Bel colpo per Cagliari, teatro virtuoso per oculatezza gestionale e proposte artistiche. Tra esse, svetta Kitez: 101 anni di vita, due sole presenze italiane. E l’idea di affidare la regia a un genio visionario quale Nekrosius, artista taciturno e amante della natura, nato a Raisenai (Lituania) nel 1952, studi a Mosca, ma quartier generale a Vilnius dove ha fondato un centro artistico indipendente, il «Meno fortas»: laboratorio di spettacoli che fanno il giro del mondo salvo rimpatriare con immancabili medaglie al valore.
Legato alla concretezza del lavoro, Nekrosius è assai poco propenso alle pubbliche relazioni. È una sfinge impenetrabile: se non è giornata o parti con la domanda sbagliata, addio intervista. Viceversa, i venti minuti pattuiti possono toccare l’ora e ritardare le prove di regia. Io gli chiedo chi è l’unica donna dell’opera di Korsakov, Fevronija, figlia della foresta, di verde vestita al suo primo apparire su un fondale biancastro, emanazione del candore di fanciulla che alla fine convolerà a nozze con il figlio del principe di Kitez: la città russa che per sfuggire al dominio straniero si fa invisibile. «Fevronija è la tipica figlia della Madre Russia, in lei si concentrano i lati positivi dell’anima russa, in primis la capacità di perdonare», spiega Nekrosius. Che spiazza ogni aspettativa quando descrive un altro personaggio chiave, Griska, l’ubriacone, «compositore e librettista ne fanno un essere malefico. Io invece trovo in lui spunti di simpatia e alla fine lo riscatto» rivela il regista. Benché sia un traditore? «Non lo giustifico, né lo condanno. Dico solo che ogni persona e ogni popolo manifestano lati negativi e positivi».
Il regista è noto per immagini incisive, espresse con forza figurativa. Che cosa si vedrà di questa città invisibile? «Se la intendiamo come spazio fisico, niente», distingue Nekrosius. «La città è la gente. E quella di Kitez è genuina, fiduciosa, pacifica al punto da ignorare la guerra». Così, il regista redime Griska e ritrae Kitez come una città a misura di bontà. Che voglia lanciare un messaggio positivo in questi nostri tempi oscuri? «Perché mai oscuri?», risponde, «non v’è fase storica che sia sfuggita alla guerra, il male torna ciclicamente». Nekrosius ha esordito nella regia d’opera nel 2002, a Firenze, su incoraggiamento «di Mazzonis, a lui devo il mio primo contatto con il melodramma, un mondo in cui mi sento solo un ospite». V’è entrato in punta di piedi, «la priorità va data alla musica, non chiedo a un cantante ciò che esigo da un attore. Ambire a certe sperimentazioni sarebbe ferire l’opera stessa», chiarisce. Curiosità: come vive i suoi soggiorni italiani? «Mi trovo molto bene qui. Mi piace la gente. Quando penso a un Paese non penso alla sua architettura, alla cultura o natura, ma alla sua gente. Voi mi piacete». Si scioglie in un sorriso che poche fotografie hanno potuto immortalare.


A questo punto vien da chiedere a un uomo di carriera internazionale, ma saldamente radicato in quel fazzoletto di terra che è la Lituania, come sia il popolo lituano, «con gli altri siamo stati fin troppo buoni, ma non altrettanto con noi stessi», dice lapidario. Quanto al presente, sospira e accusa: «La maggior parte dei Paesi ex comunisti sono mossi da uno sfrenato egoismo, concentrati sul presente senza proiezioni verso il futuro».

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