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Nel faccia a faccia con Costanzo non si mente

Venti minuti perché, se il cuore è slacciato, fa a tempo a uscire di tutto. Bianco gesso perché nulla impedisca ai pensieri di scorrere, perché niente si metta di mezzo a farli inciampare. Un tavolo rosso perché non tutti i «pazienti» reggono il lettino. Una tartaruga di legno australiana perché, assieme ai gerundi e ai blocchetti per gli appunti, sono una sua fissa. Una finestra di cartone per ricordarsi da dove tutto è partito (Bontà loro, studio 11 della Rai, anno 1976). Costanzo, perché se no il gioco non funziona. Ieri alle 14.10, sulla prima rete della tv pubblica, l’uomo della tv, settantadue anni ad agosto, una prepotente, costanziana irruzione sul palco dell’Ariston, è stato tentato da un nuovo sogno di autosufficienza. Cambiare squadra, cambiare programma, cambiare orario. Ovviamente gli è riuscito.
Perché al «cospetto» di Costanzo ci si va se si ha qualcosa da offrire, perché lui ha intervistato tutti i grandi d’Italia, perché a trentaquattro anni, con «la mamma» di questo Bontà sua ha cambiato la televisione, perché è un uomo che ha buone difese contro la meraviglia e quindi non lo si frega con le briciole, perché ha a disposizione venti minuti di tempo e se non hai nulla da dire, o peggio, non hai voglia di dir nulla, te ne stai a casa tua. Non sappiamo quanto impieghi Costanzo per prepararsi a un’intervista, ma sappiamo che ormai potrebbe usarne davvero poco, potrebbe persino evitare di farle, le domande. Prende un ospite e lo scandaglia senza bisogno di parlare. Non vuole quello che ha già raccontato prima, non gli chiede ciò che gli hanno già chiesto tutti, non torna sul trito. Venti minuti... Il primo, ieri, è stato Lino Banfi. Stessa stazza, stessi baffi, stessa riga in mezzo un po’ larga di Maurizio. Mancava solo Hitchcock per sembrare la casa degli specchi. Invece lì, in quel minuscolo studio bianco, a metà tra un cofanetto per le sorprese preziose e una stanza per l’iniezione letale, è successo ciò che doveva succedere. Due uomini che si parlavano. Di genitori, di figli, della morte che viene a farti spavento, delle carriere lunghe e degli entusiasmi improvvisi, del fotofumetto Leonard. A zonzo per la vita a bassa voce, perché le emozioni hanno una propria irresponsabile logica.

Una stanza bianca dove non c’era il «rumore» della televisione. «A te si dice la verità, Maurizio. E poi c’è quella finestra... ricordo ancora quando guardavo Bontà loro e fantasticavo di essere uno di quelli che intervistavi». Ieri ha ricominciato da lui. Bontà sua.

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