Quando Mario Brunello al violoncello distende una melodia, sembra parlare in confidenza; ma appena la frase sta per prendere per natura sua un'eloquenza esuberante, la smorza, la sospende, quasi la allude come in una confessione segreta; come potesse assicurare ad ogni ascoltatore che la confidenza, toccante di bellezza, è destinata tutta solo a lui. In Vivaldi è particolarmente difficile: perché in partitura il suo strumento non rinuncia ad essere un fondamento armonico, e si concede scatti, svagatezze, fiondate e vuoti d'aria.
Brunello li percorre come se danzasse, e sente e fa sentire il gruppo d'archi di Federico Guglielmo in tutta la luminosità veneta, intensa ma affettuosa, e a volte leggera e tagliente come nell'aria un'ala di gabbiano. Non dite in giro che ve l'ho suggerito, ma Brunello fa respirare di Vivaldi tutto quello che l'immenso Bach, pur benefico trascrittore dei suoi concerti, non avrebbe mai potuto capire.Nel genio di Brunello esplode il vero splendore di Vivaldi
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