Nel paese dove i bambini parlano la lingua di Gesù

CELEBRITÀ Per sentire e studiare i suoni di 3000 anni fa arrivano turisti da tutto il mondo

Nel paese dove i bambini parlano la lingua di Gesù

nostro inviato a Maalula (Siria)

«Bonhunka». Benvenuti. Rafah è una ragazza di 19 anni che vende souvenir religiosi nel negozio dei suoi genitori. Una grotta dove tra le pareti rocciose sono appesi quadretti di madonne e santini. San Giorgio, Santa Tecla, San Paolo. Nessun velo che le copre i capelli lunghi e neri, sguardo gentile a vendere rosari, candele, statuine di Maria e portachiavi con l’immagine di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah.
Quando i più curiosi le chiedono di parlare, lei lo fa con un po’ di vergogna. «Salam aleikum», la pace sia con te, qui si dice «shlom», una parola che assomiglia all’ebraico «shalom». La lingua di Rafah sa di magico e ancestrale: lei e gli abitanti di Maalula parlano aramaico antico. La stessa lingua che parlava Gesù con i profeti, con la madre, con chi l’ha tradito. Maalula è un villaggio tenace e cocciuto di duemila persone, 60 chilometri a Nord di Damasco, dove la gente litiga e prega usando quell’idioma nato oltre tremila anni fa, tra il Mar Mediterraneo e il fiume Tigri.
Damasco, la capitale è lontanissima. In mezzo ci sono superstrade, tornanti e poi sterrati. Maalula la vedi quasi all’improvviso, dopo un’ora di macchina, tetti blu e una ventina di campanili, incastonata nelle rocce color sabbia dello Jebel Libnan, la catena montuosa che circonda tutta la zona. Oggi la lingua la conoscono meno di mezzo milione di persone sparse in tutto il mondo. Ma solo qui a Maalula la gente la usa ogni giorno come idioma corrente. I turisti entrano in continuazione dal bazar. Vogliono comprarsi e portarsi a casa un pezzo di storia, qualcosa che in qualche modo li avvicini di più alla fede, a Gesù. Da quando, nel 2004 qui è arrivato Mel Gibson con la sua troupe di «The Passion» l’interesse della gente si è come risvegliato. Qui i visitatori arrivano in ogni periodo dell’anno, vogliono vedere, sentire quei suoni sacri, quasi magici che dopo tremila anni non svaniscono. Ci sono arabi, europei, giapponesi e americani. Vengono e camminano tra le rocce, fotografano le caverne e la gola sacra che secondo la leggenda ha accolto Santa Tecla in fuga fino alla morte. Secondo alcuni studiosi dell’Academy of the Hebrew Language di Gerusalemme, l’aramaico di Maalula sarebbe l’originale, il più puro. Nella chiesa di San Giorgio, padre Toufic Eid, monaco libanese, recita il Padre Nostro in aramaico. Gli abitanti gli fanno da coro. La sensazione è quella di essere in un mondo davvero lontano. Remoto.
Fuori dalla chiesa la gente discute animatamente: «Tra una ventina d’anni al massimo», dicono la lingua sparirà. I ragazzi più giovani vanno via, cercano lavoro a Damasco o ad Aleppo, i centri più industrializzati della Siria. Qui c’è poco da fare. La gente ha paura di perdere le proprie tradizioni, il marchio di riconoscimento. Secondo l’Unesco, il 97 per cento della popolazione mondiale parla appena il 4 per cento delle lingue esistenti. Il rimanente 96 per cento degli idiomi potrebbe andare perduto entro la fine del XXI secolo. La speranza per la lingua resta la scuola di aramaico. Nel 2005 il governo siriano ha deciso di finanziare la scuola di aramaico: l’Institute of Aramaic Language a Damasco è l’orgoglio del Paese. È anche così che la Siria spera di rompere la cortina di ferro, quella coltre di diffidenza che la avvolge. In due anni il Paese ha ospitato più di cinquanta studenti. Un sito on-line accetta le iscrizioni da tutto il mondo, anche di studenti nord americani.
Dalla parte opposta della chiesa di San Giorgio c’è il convento di Santa Tecla, che resiste dal II secolo. Le suore raccolgono gli orfani di tutta la zona, fanno lavoretti, hanno una scuola di aramaico. Qui il corso non ha un prezzo standard, basta una donazione. Loro vivono così, di aiuti. Tecla, una degli scolari di San Paolo, abbandonò la custodia del padre, pagano, si ritrovò davanti ad una parete di roccia. Le sue preghiere appassionate fecero sì che la montagna si aprisse, permettendole di scappare. Oggi dalle montagne del Jebel Libnan scorre ancora un rigagnolo d’acqua. Saher ha 50 anni e lunghi baffi neri arrotolati. Ristruttura le case incastonate nella pietra. Mostra l’acqua che spunta tra le rocce e con orgoglio racconta che «Sono le lacrime di Tecla».

I fedeli vengono qui a raccogliere l’acqua per il suo potere miracoloso. L’aramaico di Maalula è sopravvisuto all’occupazione ottomana. Ora sfida la globalizzazione. Qui sorridono e dicono: non passerà. In fondo questa è la lingua di Dio.

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