Nel partito scoppia la guerra per colpire il capo. Le manovre dei dalemiani per lanciare Latorre

La resa dei conti nel partito democratico. E Di Pietro afferma: "Dobbiamo restare uniti". Ma fa di tutto per indebolire l'avversario

Roma «Ora più che mai noi e il Pd dobbiamo restare uniti», proclama Antonio Di Pietro. Che sicuramente è quello che se la gode di più, nella tempesta che la vicenda della commissione di Vigilanza ha scatenato in casa dei suoi alleati.
E le parole dell’ex Pm suonano come una nuova tiratina al cappio che il leader del Pd si ritrova attorno al collo: «Non cadremo nel tranello di chi vuole utilizzare la furbata berlusconiana per indurre Pd e Idv ad una spaccatura e una resa dei conti, che non vogliamo e non cerchiamo in alcun modo», spiega infatti mellifluo Di Pietro. E l’avvertimento a Walter Veltroni è chiaro: se ora, per uscire da questo pasticcio, provi a smarcarti da Leoluca Orlando, urlerò ai quattro venti che sei venuto a patti con Berlusconi. Che, com’è noto, è «il mandante dell’omicidio della democrazia» nonchè un dittatore argentino (anche se gli oppositori anziché desaparecidos finiscono presidenti di commissione, ma per Tonino la sostanza non cambia).
Le mosse che il segretario del Pd (ieri a letto col febbrone) ha a disposizione per trarsi dalle peste, dunque, sono veramente poche. Il pressing su Riccardo Villari perché si dimetta è continuato anche ieri, con grande insistenza (e con grande scandalo dei radicali, che invece lo invitano a restare). Ma lui ovviamente non si fa né in qua né in là, e spiega serafico di star lavorando a una «soluzione più avanzata», che metta d’accordo i poli. Quale essa possa essere non è chiaro, tra i tanti boatos che circolano. In casa veltroniana spiegano che quella in corso «è una battaglia per colpire la leadership di Walter», e che occorre capire se Villari sia «un De Gregorio» qualsiasi, pronto a vendersi al miglior offerente, oppure se stia «giocando una partita con altri», con una «sponda interna» allo stesso Pd. A chiarire quale sia l’obiettivo di Villari e dei suoi eventuali complici dovrebbe servire il faccia a faccia che il neo-presidente avrà con Veltroni domani. C’è chi sottolinea le simpatie dalemiane di Villari e accredita una manovra per portare alla testa della Vigilanza l’ex ds Nicola Latorre, come nome su cui coagulare una vasta maggioranza Pd-Pdl e ovviamente Udc. Ma un’operazione del genere, oltre a far sfuggire dalle mani di Veltroni il timone delle trattative sulla Rai, comporterebbe uno strappo violento con Di Pietro. Strappo, e asse con l’Udc, che nel Pd si augurano i molti tra dalemiani, ex Ppi, rutelliani, lettiani e quant’altro, ma non certo Veltroni. Tanto meno a due settimane dal difficile voto abruzzese.
L’unica contromossa a disposizione di Veltroni è quella di cercare lui un’intesa complessiva con la maggioranza sulla partita Rai. Le armi per spingere il Pdl ad aprire un dialogo, spiegano i suoi, non mancano: l’opposizione, come annuncia il veltroniano Ceccanti, avrà in parlamento «reazioni proporzionate su tutti i possibili livelli di cooperazione istituzionale». Il che significa possibile ostruzionismo non solo nella Vigilanza ma in tutte le commissioni, e in aula, nonché grossi problemi per la maggioranza sul numero legale, che spesso non ha.

Il problema, però, è che la trattativa non può certo ricominciare dal nome di Orlando, e il tentativo di convincere Di Pietro a mettere in pista altri (Silvana Mura o Massimo Donadi) continua a scontrarsi col muro di gomma dell’ex Pm. E con i suoi avvertimenti che inquietano Veltroni.

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