nostro inviato a Firenze
Dalle «prove di dialogo» ai pesci in faccia il passo può essere molto breve. E, allindomani dei messaggi di pace che Umberto Bossi (in nome del federalismo) è venuto a portare fino in casa Pd qui alla festa ex Unità di Firenze e dellaspro duello verbale che ha contrapposto sullo stesso palco il ministro vero Tremonti e quello ombra Bersani, i toni e gli umori restano accesi.
«Con Bersani e i suoi amici non si va da nessuna parte», attacca il capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto. Che invita i ministri Calderoli e Fitto ad «andare avanti nel loro proficuo lavoro», per arrivare ad un testo «avanzato ed equilibrato, in cui si riconosca tutto il centrodestra». E solo a quel punto «sarà più facile trovare unintesa» con la «minoritaria area federalista» del Pd. E il medesimo Bersani, forte degli applausi calorosi che, attaccando a testa bassa il governo, ha raccolto alla Festa, si rituffa entusiasta nella polemica: «Cicchitto e i suoi amici vadano dove vogliono - irride -, ma non si aspettino che noi ci si metta a tappetino: se ci si aspetta da noi una delega in bianco al governo, vorrà dire che ciascuno si prenderà le sue responsabilità».
La scuola di pensiero di Bersani, secondo la quale non è il momento di «dare una mano alla maggioranza», collaborando alla riforma federalista, ma è meglio semmai «far esplodere le contraddizioni» interne al centrodestra, forse non sarà maggioritaria nel Pd, come dice Cicchitto: nellala veltroniana, e soprattutto tra gli amministratori e nel Nord (un nome per tutti, Sergio Chiamparino, ministro ombra delle Riforme), la volontà di partecipare attivamente alla stesura del Federalismo è forte. Ma sicuramente la linea «dura» fa presa, ed è quella che parla meglio a militanti frastornati, che domenica sera non sapevano più se fischiare o applaudire gli inconsueti, ma istintivamente assai detestati, ospiti. «Ma che li hanno invitati a fare questi alla nostra festa?», si chiedevano in tanti, tra i volontari reduci di mille piadine dellUnità, oggi in trasferta alla Fortezza da Basso sotto la nuova etichetta di Democratici. «Ma quale bon ton», ragiona con i suoi Bersani, «Berlusconi non ci ha risparmiato certo insulti e attacchi, nella scorsa legislatura, altro che dialogo: eppure hanno vinto a man bassa lo stesso. Non credo che noi perdiamo consensi se alziamo la voce e non regaliamo tutto lantiberlusconismo a Di Pietro». Anzi è questo il modo, pensa lex ministro (e, secondo molti nel Pd, aspirante sfidante di Veltroni per la leadership), per rimotivare una base depressa. Basta sentire Pierluigi Zoriella, militante di lungo corso e segretario di quartiere di un circolo Pd: «Rispetto allentusiasmo delle primarie, adesso provo un senso di abbandono e di smarrimento. Eppure siamo radicati quanto e più della Lega: il problema è riuscire a coinvolgere, a portarci dietro il popolo che abbiamo». Dà ragione a Bersani, tra chi ha seguito il dibattito con Bossi e Tremonti, anche la bruna Rosita: «Cè bisogno di una forza che faccia opposizione, altro che dialogo. E finora non la stiamo facendo. Diamoci una mossa». Un simpatizzante toscano, Ernaldo, approva: «Dobbiamo smetterla di rincorrere gli altri: dovremmo seguire i nostri valori, e ribadire la differenza tra noi e la destra». Tra i viali della Festa, ma anche sui siti online del Pd e nelle lettere che arrivano allUnità, prevalgono le voci bellicose di chi, con Bossi e Berlusconi, vuole lo scontro frontale e non certo il dialogo, federalista o meno. «Il federalismo fiscale - scrive Liberopensatore sul forum del partito - fa parte di quelle riforme importanti su cui non devono essere assolutamente commessi errori. E purtroppo si ha limpressione che Veltroni sia propenso a votarlo: così perderebbe la sua credibilità alla vigilia delle Europee. Berlusconi deve sapere in modo chiaro che tutta lopposizione, e non solo Di Pietro, ostacolerà in modo deciso qualsiasi sua riforma». Incalza Pidiellemenoelle: «Chi vuole il federalismo? La Lega, alleata con il partito mafioso per eccellenza, Forza Italia. Ma il Pd non sa cosa fare: al Sud ha tutte le sue giunte indagate o incapaci di governare».
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