Nel tempio del classico l’italiano è un optional

Quanti errori di ortografia e di sintassi nelle didascalie del Museo Nazionale di Palazzo Massimo

Anche nel tempio della classicità romana - il Museo Nazionale di Palazzo Massimo alle Terme - si annidano i subdoli germi dell’imbarbarimento linguistico. Mostriciattoli ortografici, periodi sconclusionati, strafalcioni grammaticali e sfondoni di varia natura allignano indisturbati nelle didascalie dei capolavori marmorei di epoca greca e romana, riccamente stampati su una serie di bellissimi cartelli in plexiglas.
Situati a fianco delle fredde (ma correttissime) note per i comuni visitatori, i cartelli con l’indicazione «Il museo per noi» si rivolgono ai bambini con un linguaggio fin troppo colloquiale che richiederebbe i segnacci rossi e blu di una maestra all’antica. Alcuni esempi? Frasi ai limiti del consentito come «ecco come l’acconciatura ti individua il dio del vino» oppure «che si tratta di un atleta lo puoi capire subito». Ma c’è di peggio, Defraudate del femminile accessorio dell’apostrofo, «una imperatrice» e «una identificazione», l’apostrofo compare in modo assai improprio nell’orribile «un’artista romano». Maschio, sia chiaro. Una mano pietosa - e terribilmente infastidita - ha corretto con un segno di penna il raccapricciante intruso. Magari un bimbo fresco di insegnamento. Suggestioni deamicisiane...
Si va avanti nella galleria degli orrori linguistici: la statua di una matrona romana viene descritta come dotata di un grosso naso «ad aquilino». Proseguendo fra i superbi ritratti e le possenti muscolature di eroi e atleti, ecco una indesiderata nanerottola, la «s» minuscola acquattata ai piedi di Melpomene, musa della tragedia. «Invoca Melpomene e sarà facilissimo!!! se vuoi scoprire…», si legge nella didascalia. Nemmeno tre punti esclamativi riescono a stanare la «s» e a farla assurgere alla doverosa dignità di maiuscola.
In una delle sale principali si è assaliti poi da un mostro mitologico a più teste: il «cives romanus», al tempo stesso plurale nel nome e singolare nell’aggettivo. Forse un più rassicurante «civis romanus» avrebbe meglio assolto il compito di descrivere le pieghe della toga romana, senza pugnalare la lingua dei padri. Ma anche questo errore, per fortuna, è stato corretto da una mano ignota ma provvida.
Un corteo mesto, quello di «Dioniso e le Menadi le hai già incontrate», dove la ripetizione gergale del pronome si potrebbe anche graziare, mentre il genere femminile plurale, esteso anche al povero Dioniso, proprio no.
Ancora, «per questo motivi». Poi si passa al tonante e festoso «una dea dalle sembianze giovanile», finché una virgola impazzita mozza il fiato in «della figura del Minotauro rimane, la testa di toro e il torace di uomo».

Pericoloso per l'integrità del marmo, è, infine, lo stridore di «Eros, raffigurato poco più di un bambino», in cui l’apposizione viene tragicamente confusa con il complemento di paragone. A proposito: imbarbarimento o inbarbarimento?

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