La cattedrale di Reims è lì in fondo, contegnosa e severa, con le sue due scure torri solenni, distante pochi chilometri, pochissimi davvero. È come se ci fosse un fitto eppure muto dialogo tra il sacro propriamente detto e un profano che però a suo modo è non meno liturgico. Qui dove siamo noi è il clos che confina con Pommery, la vigna giardino di una delle maison che ha scritto la preistoria, la storia e la cronaca del più regale dei vini, lo Champagne. Che qui ha uno dei suoi templi indiscussi.
La vigna è piccola, circondata da mura. Qui lo chef-de-cave di Pommery, Thierry Gasco, omino dal fascino sottile che esce alla distanza come un maratoneta, o come un grande vino, ecco, qui Gasco, dicevamo, anni fa decise, in occasione del 175esimo anniversario della nascita della maison, di produrre un «cru», anzi un clos. Da uve a prevalenza Chardonnay (50 per cento contro il 30 di Pinot Nero e il 20 di Meunier) che Gasco cura personalmente come rose preziose, dalla vigna alla cantina e poi alla bottiglia. E che bottiglia: il Clos Pompadour, così chiamato a mo' di dedica alla madame che ha incarnato l'epoca di maggior gloria del vino con le bolle, è prodotto in tiratura limitatissima e solo nelle annate nate con il sole in tasca, soltanto in bottiglie magnum, formato che esalta al massimo l'eleganza, la freschezza, la mineralità di questo vino (perché tale è prima di tutto lo Champagne a certi livelli: un grande vino) che al naso sciorina note di spezie ed erbe aromatiche, poi innervate da una buccia di agrume, e in bocca si dispone composto eppure temperamentoso, con quella classe naturale dei predestinati che non potrà che crescere con il tempo.
Pommery è un mondo incantato, una delle favole più affascinanti di quella mille-e-una-notte che è la Champagne, un libro pieno di storie, di uomini, di donne, di magnifici incidenti, di intrighi, di savoir vivre. Maison fondata nel 1836 e a lungo animata dalla personalità di madame Pommery, donna che ebbe la non trascurabile intuizione di rendere lo Champagne molto più secco inventando nel 1874 un brut millesimato che ha cambiato una volta per tutte l'approccio al vino più famoso del mondo, è oggi di proprietà del gruppo del lusso Vranken-Pommery Monopole, secondo produttore mondiale di Champagne (gli altri marchi del portafoglio sono Monopole Heidsieck, Vranken, Diamant, Demoiselle) e anche proprietario di grandi vigne in altre zone vocate del Sud della Francia (lo Château La Gordonne in Provenza e il Domaine de Jarras in Camargue, entrambi specializzati in rosé) e in Portogallo (con i marchi Rozès, Terras do Grifo e Sâo Pedro das Aguias nel Douro Superiore), ciò che ne fa il più grande «vigneto d'Europa». Un mondo che ha grande attenzione per l'Italia, dove a Milano esiste una filiale italiana guidata dal ceo Mimma Posca. Il cuore del gruppo è però qui attorno a Reims, nel domaine visitato ogni anno da decine di migliaia di amanti del vino e del bello, che si estende per cinquanta ettari ricchi di edifici neo-gotici elisabettiani, di severi giardini e di cantine sotterranee lunghe in tutto 18 chilometri di cunicoli e corridoi e scale, ricavate dal 1868 al 1878 da oltre un centinaio di cave gallo-romane di gesso.
Una vera cattedrale al contrario che oggi custodisce milioni di litri di grandi vini, anche di annate lontanissime, e molte opere d'arte, che rappresentano un altro modo ancora in cui la maison cerca di dar corpo alla missione di far dialogare emozioni di diverso segno ma di uguale spessore.
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