Letteratura

Nel Vangelo al femminile di Petruccioli zampilla il flusso di coscienza di Maria

Timida e appassionata, stupefatta e battagliera: il diario della madre di Gesù

Viene da pensare leggendo Si vede che non era destino di Daniele Petruccioli (TerraRossa, pagg. 260, euro 15,50), al Vangelo secondo Pilato di Eric-Emmanuel Schmitt: nel testo dello scrittore e drammaturgo francese, Ieshua rievoca gli ultimi giorni prima della crocifissione, nel romanzo altrettanto confessionale dell'attore, scrittore e traduttore italiano è la giovanissima Maria a parlare, per spiegarsi che quanto le sta accadendo, nonostante, tutto, è possibile. Indovinare i pensieri di Cristo o della Madonna non è operazione nuova, ma certo spericolata rimane, un salto nel vuoto, nel mistero. «Dire Io, Gesù di Nazareth e pronunciarlo in prima persona ha scatenato in me un lungo conflitto. Mi bloccava il fatto di essere credente», raccontava Schmitt nell'introduzione al suo libro (edito in Italia da BUC San Paolo). Petruccioli si arrischia a volare alto con l'arma più potente, la semplicità, fin dalle prime righe: «Ciao, Maria, quanto sei bella! Quando ho sentito Elisabetta salutarmi così mi ha preso un colpo. Si vedeva tanto, che ero incinta? Mi ha fatto quasi paura. È stato solo allora che ne ho avuto la certezza, in verità. Prima non lo sapevo bene neanche io».

Quella stessa incoscienza che spinge avanti l'amore ci vuole, per mettere in pagina questi pensieri, perché soprattutto di un flusso ininterrotto di riflessioni ed emozioni si tratta. Prima di tutto Maria per buona parte è davvero una ragazzina: timida eppure appassionata in quel modo manicheo che fa dei giovani perfetti eroi, depositari di ideali e aspettative smisurati rispetto alla pochezza dell'animo umano. La diversità rimane la più grande paura: che dire dunque di fronte a una diversità inspiegabile come quella gravidanza? «Oddio, ho pensato, mica si sarà accorto anche lui che sono incinta? A quel pensiero mi sono agitata, poi mi sono arrabbiata. Cosa ne sanno tutti della mia gravidanza? Oddio, proprio tutti no, finora ne è convinta solo Elisabetta, ieri ha quasi convinto anche me, anche se a lei non ho mica detto niente. Nemmeno lei mi ha chiesto niente, adesso che ci penso, anche se lo sa benissimo che non c'è ancora stato l'ingresso nella casa dello sposo».

Il piccolo miracolo narrativo cui assistiamo, tuttavia, è che Maria diventa sé stessa, cresce (e noi la seguiamo, momento per momento, senza saper però poi ben dire in quale esattamente sia avvenuta la trasformazione: ma qui sta l'arte di Petruccioli) mano a mano che accanto a lei starà Giuseppe, che si prepara il viaggio verso Betlemme, che i suoi genitori la trattengono e la sorreggono insieme, che le Scritture la accompagnano, ma soprattutto mano a mano che la gravidanza procede: «E sono contenta di essere rimasta incinta. Sì, sono contenta, anche se so di dire una follia. Senza Ieshua nella mia pancia, io e Giuseppe non saremmo mai stati messi alla prova. Non avremmo avuto bisogno di ritrovarci. E non avrei capito che, per ritrovarci, dovevo prima ritrovarmi io». Quella ricerca è la nostra ricerca, quel ritrovamento il nostro, pare suggerire la voce di Maria.

Ci sono altre voci nel libro, altri racconti, per arrivare da quei momenti di trepidazione adolescenziale alla maturità, per seguire Ieshua che cresce nella quotidianità domestica e fino all'epilogo. Ma è senz'altro nella voce di Maria stupefatta e battagliera insieme, terrorizzata e testarda, che Petruccioli realizza il compimento di questo Vangelo femminile.

Sotto i piedi degli uomini la terra, sotto quelli delle donne la verità: pudica e sofferente, la Maria di Petruccioli è invasa da sogni, visioni e strette al cuore, ma anche immersa nella verità della propria storia.

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