Nell’atletica l’altra Italia Dietro Howe quasi nulla

La nostra grande speranza subito in pedana nel lungo. Ma per il resto si rischia di tornare a mani vuote

L’Italia proverà tutto e subito. Pronti via, c’è Andrew Howe. Poi non si sa. Oggi l’atletica d’Europa schiuderà il suo giardino svedese, mentre l’atletica italiana andrà a rovistare fra le spine del suo orticello. Goteborg riaccoglie il mondo del track and field, riapre le porte dopo aver lasciato a tutti il palato dolce nel 1995: l’Ullevi stadion fu uno spettacolo di tifo e di pubblico, sempre pieno ad ogni ora, i suoi campionati del mondo lasciarono il segno. La Svezia aprirà le porte di casa rallegrando l’atmosfera con i suoi quattro angeli biondi, i cosidetti «Fab four»: Carolina Kluft, Kajsa Bergqvist, Christian Olsson, Stefan Holm. Campioni che non si sono mai negati le imprese straordinarie, campioni del mondo o campioni olimpici che regalano all’Europa e all’europeo quel marchio di qualità un po’ usurato. Il sorriso contagioso di Carolina Kluft, la sua voglia di divertirsi e stupire, sarà anche stavolta il motivo conduttore delle prime due giornate in cui le superwomen dell’heptathlon terranno la scena insieme agli uomini dei cento metri e del lungo, ai mezzofondisti dei 10mila metri e ai marciatori.
Europei con record di atleti, oltre 1300, e di nazioni (48). Mancheranno solo Armenia e Liechtenstein. Serbia e Montenegro si presenteranno per la prima volta sotto bandiere separate. A Goteborg l’Italia scoprì quella pantera di Fiona May, donna da podio sotto ogni cielo. Fiona bagnò la sua italianità vincendo il primo oro nel lungo. Chissà mai che la storia non abbia predisposto qualcosa anche per Andrew Howe: ragazzo di colore come Fiona, italiano per gli strani incroci del destino. L’Italia dell’atletica si presenta sentendosi parente povera, ma povera davvero, di quella del nuoto. La spedizione azzurra conta su 83 persone, ma potevano anche essere dieci e poco sarebbe cambiato.
Ora più che mai gli europei sono terra di conquista per nazioni che abbiano lavorato bene con i giovani, si avvalgano di tecnici di qualità: Francia, Gran Bretagna, Russia hanno in mano il potere tecnico e qualche campione. Ma la velocità potrebbe essere dominata da Francis Obikwelu, che di portoghese ha solo il passaporto. Le naturalizzazioni si sprecano, solo i russi hanno uomini ma soprattutto donne che lucidano lavoro e talento dei paesi loro: la Isinbayeva, che quest’anno ha imparato pure a perdere, la Lebedeva (triplo), la Kolchanova (lungo), senza contare l’elenco delle fondiste.
In mezzo a questo oceano, Italia nostra sembra una barchetta che cerca di non affondare. Andrew Howe oggi metterà a punto la sua macchina da guerra: capofila dei lunghisti con l’8,41 pescato al Golden gala, troverà nell’inglese Greg Rutheford (m.8,26), 19 anni contro i suoi 21, l’altra anima del largo ai giovani di questa specialità. E dopo Howe il diluvio? Quasi. I grandi velocisti sono un ricordo, le donne dello sprint sono rimaste tutte a casa, alla faccia delle due medaglie conquistate quattro anni fa da Manuela Levorato. Nell’ultimo quadriennio i marciatori hanno fallito solo il mondiale di Parigi. A Goteborg ’95 Didoni vinse l’oro, qui bisognerà aggrapparsi a Brugnetti (20 km) e Schwazer (50 km). Ancora una volta ci sarà da ascoltare la luna di Giuseppe Gibilisco, il nostro trapezista di successo, o quella dei fratelli Ciotti nel salto in alto.

Infine bisognerà affidarsi alla lena dei maratoneti. Ovvero Stefano Baldini e Bruna Genovese: lui è il campione olimpico, lei forse l’unica speranza azzurra al femminile. Sembra un secolo fa: eppure nel 2002 le quattro medaglie azzurre furono tutte rosa.

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