Gian Maria Bavestrello
Brucatura. Cascola. Frangitura. La prosa tecnica dell'olio extravergine di oliva è tanto simile a un registro poetico che s'intende con facilità il valore metafisico dell'ulivo, già pianta sacra alla Dea Minerva. Simbolo di vittoria e prestigio. Di pace e saggezza. Epicentro di una civiltà alimentare, quella mediterranea.
L'autunno inoltrato è il tempo di raccolta dei frutti ma ancor prima dei loro odori. È l'olfatto ad aprire a questo paesaggio sospeso fra Terra e Cielo, fra l'antica nostalgia dell'unione immediata con la natura e l'ascesi a quella sapienza divina contenuta - a parere di un Santo come Bonaventura - nella conoscenza sensitiva.
L'aroma delle olive cadute nelle reti issate ai tronchi, noto a chiunque abbia confidenza con i terrazzamenti liguri, ammalia. Magnetizza. E ricorda come e perchè in tutte le religioni e in molte credenze esista un legame profondo tra sacro e profumo. Solo il sopraggiungere di due contadini restituisce la mente a quel flusso temporale che ha avvio nel XI e, in particolare, nel XVI secolo, quando si affinano i costumi del condimento e lo si scopre: l'olio è davvero benedetto perché conserva in modo ottimale vari alimenti, sottraendoli a un ingrato destino di putretudine.
Cercare queste essenze girovagando per le strade della viabilità provinciale. Inerpicarsi fra boschi in attesa di riassestamento idrogeologico, per fermarsi a rimirare la forma ossuta e stramba di questa pianta esposta a malanni e intemperie, ma dalla vitalità cocciuta. Scovarla in bella mostra su quelle fette di terra ritagliate a fasce, intenta a celare ciò che abita alle sue spalle.
A Imperia ha sede il Consorzio Dop Riviera Ligure, ma anche a Levante si è fatta, dell'olio, questione di non poco conto. Vi è un'apposita menzione geografica aggiuntiva, al pari di quanto avviene per la «Riviera dei Fiori» e del «Ponente Savonese». E vi sono comuni come Leivi che gli dedicano insigni concorsi inter-provinciali. Perché nulla come l'olio, in Liguria, svela quella tipicità territoriale di colori, odori e sapori ormai acquisita dal mondo dei vini. Tipicità vuol dire - ovviamente - disciplinare di produzione. Discetta, questo protocollo di qualità, delle cultivar di Taggiasca, Lavagnigna, ma anche Razzola e Pignola. Della precisa delimitazione delle zone produttive. Delle caratteristiche di coltivazione. Dei limiti di produzione e resa. Delle modalità di oleificazione, fra cui spicca il precetto di raccogliere le olive direttamente dalla pianta per preservarne al meglio l'integrità e conservarle più a lungo . E delle caratteristiche al consumo, perché quello ligure non è un olio qualunque. È delicatamente fruttato al naso e anche al palato. Ad esso dona una dolcezza decisa, che sfuma procedendo da Ponente verso Levante, allorché si attenua il «flavor» di fruttato maturo e si accentuano più pungenti note «verdi».
Sotto, il mare tende le braccia verso le colline, assistendo all'invaiatura, la colorazione delle olive che annuncia l'epoca di raccolta. Terra e acqua, perni di civiltà antitetiche - contadine le une e mercantili le altre - solo in Liguria e in pochi altri luoghi si compenetrano con tale armonia. Così che proprio l'olio Dop Riviera Ligure è il più indicato per piatti di pesce, freddi o caldi. In particolare al forno. Ma anche per conservare carciofini, funghetti e ortaggi. O per condire carni bianche lesse.
Un cantico di delicatezza. Come si confà a una gastronomia che dell'uso sapiente dei grassi vegetali ha fatto il proprio blasone di nobiltà.
Dolcemente altezzosi i profumi che avvolgono i pensieri durante il ritorno. Giù. A valle.
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