da Roma
Forse quelli che saranno i rapporti in un eventuale governo unionista è già racchiuso nelle campagne elettorali. Il faccione di Romano Prodi in 120mila manifesti (tra cui i giganteschi, famigerati 6x3) disseminati in tutte le città, costo 2,5 milioni di euro (buona parte dei soldi stanziati da Ds e Margherita), con lo slogan: «La serietà al governo». E lantidoto: una «carovana rossa» in viaggio per i «luoghi della sofferenza, del disagio, ma anche della speranza»; cartelloni rosso fuoco e lo slogan intriso di smaliziata ironia: «Vuoi vedere che lItalia cambia davvero». Lintera campagna (tutto compreso) dovrebbe costare un milione e mezzo.
Ulivo e Rifondazione, ovvero le due forze cardine dellUnione. Si fronteggeranno sui muri e sulle piazze italiane in vista del 9 aprile, continuano in qualche modo a fronteggiarsi anche prima. Con la sorpresa che però Fausto Bertinotti assume sempre più il ruolo di stabilizzatore, e gli altri vanno ad alta tensione. Così dal leader rifondatore si sente dire che «nel programma il Prc ci sta bene, è un compromesso certo, ma questo compromesso lo difendiamo: ci sono punti di sofferenza, ma ci riconosciamo interamente nellimpianto riformatore, il programma porta un segno di sinistra...». Dagli altri, Rutelli e i Ds, molto scontento e continue forzature (una su tutte, ieri: la rivendicazione della presidenza della Camera per la Quercia, fatta dal coordinatore Chiti).
Lo scontento sul programma è palpabile, tanto da non poter essere sicuri sulle sette-otto priorità che lUlivo invierà per posta nelle case degli italiani: «Cercheremo di tirarle fuori dal programma - ammette Fabrizio Morri -, con uno sforzo di precisazioni che su alcune questioni è necessario...». Potrebbe esserci persino la Tav, visto che ogni giorno viene ribadito «che si farà». Quasi certamente mancheranno i Pacs, anche se ieri Bertinotti ha provato a ricordare che la legge dovrebbe essere varata nei primi 100 giorni.
Insomma, solite divergenze parallele e soliti giochini dambiguità. Nonostante il rispetto del programma, ricorda Bertinotti, darà la misura del «grado di consenso e della nostra affidabilità». Ma lUlivo in questa campagna pare sperare nello stellone di Prodi e in poco altro. La rissosità interna non accenna a diminuire. Lultimo dei punti di dissenso è se consentire o no le liste civiche. Interpellato sul tema, Prodi ha provato a dissimulare: «Non ci sono né tensioni né problemi, penso che domani o dopodomani (oggi o domani, ndr) presenteranno ai partiti dellUnione delle ipotesi e poi lUnione deciderà a maggioranza sulla possibilità e la convenienza che questo avvenga...».
La sufficienza prodiana non ha smosso lirriducibile contrarietà di Rutelli, della Margherita e del comunista Diliberto. «Quello delle liste civiche è un argomento già definito da tempo», ha chiuso ogni spiraglio Rutelli. «Destabilizzano la coalizione», è stato lallarme di Diliberto. Il Pdci non esita ad evocare un piano, che sarebbe capeggiato dal friulano Illy, per «preparare le condizioni di una rottura post-elettorale, scommettendo sulla fine di Prodi e lavvento del neocentrismo».
Prodi però non è ancora sicuro che la presenza di liste civiche giochi a suo sfavore e, anzi, pare volerle sfruttare per ridurre il peso di Ds e Dl, come avanguardie del Partito democratico. La Margherita le teme come la peste nera. Il mariniano Fioroni sottolinea che «la decisione è già presa» e che occorre evitare «precedenti preoccupanti», tipo le scelte a maggioranza, «perché ci sono vari modi per decidere». Secondo Castagnetti «non attraggono voti, non richiamano gli elettori della Cdl e non mi sembra il caso di insistere». Per Cacciari invece sarebbero utili solo se «rappresentano terze aree rispetto ai due poli e non se sono riciclaggi di Ds e Dl».
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