«Nella casa entrò qualcuno prima della strage»

«Non erano i passi della moglie di Azouz, quelli li riconosco. Lei arrivò più tardi»

nostro inviato a Como

Qualcuno era nell’appartamento di Raffaella Castagna 100 minuti prima della strage. Lo dice Abdelkarim Khalouf, evocato nei giorni scorsi come «il siriano». Lui, l’uomo del mistero, lo straniero di cui si è parlato spesso e che mai era venuto allo scoperto. Parla, ora. Parla in una testimonianza difficile, «complicata» dall’ausilio dell’interprete. L’immigrato che abitava al piano terra della palazzina della strage con la moglie Heba Baddoura e due bambini, ricostruisce le ore precedenti la strage di Erba.
Abdelkarim fa il muratore, è in Italia da 9 anni e come ogni mattina, lunedì 11 dicembre 2006 si sveglia alle 6 per andare a lavorare a Lodi. Al suo rientro, verso le 18.30, sente rumori come di «passi leggeri», diversi da quelli «pesanti» di Raffaella Castagna. «Pensavo fosse Azouz, che non vedevo da 10 giorni». Poco più di un’ora dopo quei «rumori» diventano improvvisamente strani, insoliti. Raffaella è appena rientrata a casa, non sono ancora le 20. Sembra un litigio, «ogni tanto - sottolinea Abdelkarim - Azouz e Raffaella litigavano». Ma questa certezza dura pochi secondi. Il tempo di percepire, davanti alla tv, rumori sempre più forti. E «tonfi» sul pavimento. «È il piccolo Youssef che gioca», pensa. E invece no. «Ho sentito come un rumore di mobili spostati». Poi silenzio. E ancora «come dei lamenti», che non sa spiegare. È preoccupato, e lo è anche la moglie Heba. Vorrebbe uscire, ma la donna lo ferma: «Tu non c’entri, non andare». La curiosità lo spinge a guardare dallo spioncino, «per cinque minuti». Non succede niente, non vede niente e nessuno. O quasi. Perché la luce delle scale «andava e veniva», due o tre volte. Altri rumori lo convincono ad allontanarsi dalla porta. Sente dei passi. Si avvicina ancora allo spioncino. E nota che il portoncino d’ingresso non è chiuso come prima ma è leggermente aperto. «Di quattro centimetri», spiega. Qualcuno è passato di lì. È confuso, non sa che fare. Intanto un ragazzo gli bussa dalla finestra della cucina che da su via Diaz. Gli dice di uscire, c’è un incendio. Non c’è tempo, ci sono altri rumori. «Come un tonfo, all’altezza della porta di Raffaella Castagna». Esce di casa, con moglie e bambini in braccio. E nota un pezzo di scotch bianco attaccato alla porta, poco sotto lo spioncino. Fuori «ci sono i primi soccorritori - racconta - c’è Mario Bartesaghi (il vigile del fuoco che ha soccorso Mario Frigerio, ndr) che sta arrivando». È a lui, il siriano, che Bartesaghi dice di aver chiesto il cellulare per chiamare il 115. Lui prima nega l’episodio, come ha fatto nelle quattro volte in cui è stato sentito dagli inquirenti. Poi, a sorpresa, conferma l’episodio. Ma il giallo su quei minuti, e su chi poteva essere in quella casa e in quei minuti, resta. La Procura sostiene che quei rumori in realtà arrivano dalla casa di Pietro Ramon, vicino di pianerottolo del siriano.

A stabilirlo, forse, sarà un’ulteriore perizia dopo quella effettuata mesi fa dal comandante dei carabinieri di Erba, Luciano Gallorini. E proprio la deposizione dell’ufficiale, il primo ad avere sospetti su Olindo e Rosa, aprirà l’udienza di lunedì 11 febbraio.
felice.manti@ilgiornale.it

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