Controcultura

"Nella Fabbrica madri e figli sono merci di scambio"

L'autrice filippino-americana racconta una clinica di lusso per la maternità surrogata. Non così irreale

"Nella Fabbrica madri e figli sono merci di scambio"

La fabbrica dove lavorano i personaggi del romanzo di Joanne Ramos (Ponte alle Grazie, pagg. 414, euro 18) produce bambini: potenzialmente perfetti, ospitati nei loro uteri da madri pagate per farlo, donne soprattutto immigrate (molte di loro filippine, come l'autrice, arrivata in Wisconsin con la famiglia all'età di sei anni) e povere, ma ci sono anche giovani americane ricche, tutte operaie della procreazione a Golden Oaks, clinica extralusso nelle campagne dello stato di New York. Aria buona, cibo sano, attività fisica su misura, lezioni prenatali con strumentazioni speciali... I servizi sono per «Clienti» d'élite, come una miliardaria cinese misteriosa che decide di avere un figlio, ma non ha più l'età. O come una famiglia di New York, al terzo figlio con una «Ospite» di Golden Oaks, perché la madre non vuole perdere la linea.

Joanne Ramos, come le è venuta l'idea del romanzo?

«Ho iniziato a scrivere La fabbrica quando avevo 40 anni. Avevo delle domande che mi frullavano in testa da tempo, dovute alla sensazione di stare a cavallo fra vari mondi: quello di immigrata filippina; quello di studentessa di finanza a Princeton, una delle università più ricche del mondo; il lavoro a Wall Street, dove ero una delle poche donne e, poi, il primo investitore donna di un famoso gruppo di private equity a Boston; e, infine, quello di madre di tre figli in una realtà privilegiata, una madre che, però, condivideva la stessa cultura di tante delle lavoratrici domestiche intorno a lei. Per un anno e mezzo, però, non sono riuscita a tradurre queste idee in una trama».

E poi?

«Poi ho letto un articolo su una struttura per la maternità surrogata in India, dove le donne del luogo abitano mentre portano in grembo i figli di ricchi clienti. Mi sono chiesta: e se la rendessi una struttura di lusso? E se i clienti fossero le persone più ricche del mondo? E se le madri surrogate fossero soprattutto povere immigrate? Così il romanzo ha preso forma».

Che cosa si fa a Golden Oaks?

«È una spa di lusso nella valle dell'Hudson dove, se sei abbastanza ricco, puoi affittare una giovane e arrendevole donna in buona salute perché porti in grembo il tuo feto. Lo fai perché sei sicuro che il tuo futuro bambino avrà il meglio di tutto: un utero forte; cibo biologico, ricco di vitamine; aria pura; le migliori cure mediche che i soldi possano garantire; perfino una prima formazione linguistica e di sviluppo cerebrale, grazie alla tecnologia brevettata dell'UteroSoundz».

I clienti sono ossessionati dall'idea del figlio perfetto?

«La costruzione di Golden Oaks mi ha permesso di indagare il nostro zelo di dare ai figli il meglio di tutto. Forse è dovuto al fatto che il mondo sia così competitivo, quindi i genitori si sentono di dover dare ai figli un vantaggio - lezioni di mandarino per lattanti, insegnanti privati di tennis - così che possano avere successo, e competere, da adulti».

È solo per questo?

«Forse, nel nostro mondo narcisistico fatto di Instagram e selfie, il successo dei nostri figli è solo un segno in più del successo del nostro marchio... In ogni caso credo che il nostro concentrarci sui figli possa raggiungere vette di follia quando i genitori hanno mezzi illimitati: non più solo passeggini da mille dollari o tutine in cashmere ma, magari, un rifugio gestazionale di lusso».

Nel prossimo futuro potrebbe esistere davvero un luogo così?

«La cosa divertente è che molti recensori o lettori hanno descritto La fabbrica, e Golden Oaks, come una distopia. Ma non ho mai considerato distopico il mio un romanzo: volevo riflettere sul nostro mondo, spinto soltanto qualche metro più in là. Con Golden Oaks ho preso qualcosa che già esiste e l'ho amplificato. Spero che nessun lettore finisca il libro e pensi: Oh, questo non potrà mai succedere. Anzi, qualcuno mi ha confessato che la ritiene una grande idea di business...».

Le madri surrogate diventano delle «merci»? I loro corpi sono controllati, i loro pensieri e sentimenti sorvegliati. Sono «Ospiti» per i feti. Però, in teoria, sono libere di scegliere.

«Una delle differenze rispetto al Racconto dell'ancella, a cui spesso La fabbrica è stato avvicinato, è che, nel romanzo di Margaret Atwood, le Ancelle sono forzate fisicamente a concepire e portare in grembo i figli dei potenti; invece qui le Ospiti scelgono di cercare lavoro a Golden Oaks. La domanda è: quanto è libera questa loro scelta? Quando le scelte che certe persone compiono sono quasi obbligate, a causa della povertà, della mancanza di educazione, del pregiudizio o della cattiva sorte, è davvero una scelta dovuta alla libera volontà e al libero mercato, quella di affittare il tuo utero a una cliente ricca? E poi, noi ci sentiamo a nostro agio per quello che queste persone in difficoltà si sentono costrette a sacrificare, e per il fatto che vendano loro stesse? Non c'è alcun peso morale nelle transazioni, oltre al prezzo di mercato?».

Reagan è una Ospite Premium. Che significa?

«A Golden Oaks ci sono Ospiti di vari livelli. Alcune sono più costose, e vengono pagate di più delle altre. Di solito, le Ospiti regolari sono donne che hanno un bisogno disperato di soldi, e tendono a essere immigrate. Le Ospiti Premium sono ben istruite, attraenti e, di solito, bianche. Mae Yu, l'ambiziosa manager di Golden Oaks, direbbe che questa differenza di prezzo non è dovuta al pregiudizio, bensì che è il risultato dell'offerta e della domanda: le Ospiti di pelle chiara e con una istruzione d'élite sono più difficili da trovare e, quindi, i Clienti sono disposti a pagare di più».

Molte Clienti cercano una madre surrogata non per ragioni di salute, bensì perché danno la priorità al lavoro, o alla carriera. Anche qualcosa di sacro come la maternità è stato assorbito dalla logica del mercato?

«Molti aspetti che riguardano l'avere e il crescere i figli oggi vengono esternalizzati. In parte perché il nostro modo di vita è cambiato, e non viviamo più in famiglie allargate, che possano aiutarci a crescere i figli. Così ci affidiamo ad altre persone per farlo. E, a mano a mano, perfino gli ambiti della vita che abbiamo sempre considerato sacri finiscono nel regno del mercato, dove diventano, semplicemente, un'altra transazione».

Basta pagare? O essere pagati?

«Puoi comprare ovuli, o sperma, se non puoi avere un bambino; puoi pagare una madre surrogata per avere tuo figlio in quasi ogni stato degli Usa. Una delle questioni che ho affrontato nel romanzo è proprio il fatto che, mentre sempre più aspetti della nostra vita diventano una compravendita, qualcosa da prezzare e mercificare, noi, come società, perdiamo qualcosa.

Ma che cosa perdiamo, e ne vale la pena?».

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