Nella mente di un «martire» fra Shakespeare e il Corano

L’idea gliela suggerì un medico palestinese che nel 2001 viveva in Cisgiordania e negli anni ’70 in Algeria e che temeva per le sorti della Palestina dopo l’attacco alle Twin Towers: «Lo scrittore che si interesserà a quel che passava per la testa dei terroristi dell’11 settembre scriverà un libro importante».
Tra i pochissimi algerini nel catalogo delle edizioni Gallimard, in Francia da dieci anni, nel 2001 Salim Bachi aveva appena vinto, a 28 anni, il premio «Goncourt» opera prima per Le chien d’Ulysse. L’idea prese piede, finché l’anno scorso pubblicò in Francia Uccideteli tutti, il suo terzo romanzo, il viaggio nella mente di un «martire» che va incontro al proprio destino, Seyf el Islam, nelle 48 ore che precedono l’attentato. Mescolando Shakespeare con il Corano, Bachi tratteggia il profilo di un uomo che ha visto le montagne dell’Afghanistan e le moschee di Parigi, descrive il reclutamento, l’indottrinamento e l’addestramento. Seyf el Islam arriverà al sacrificio estremo senza che il dilemma si risolva: né la morte violenta né l’inazione possono dare risposta alla sua tragedia. Ma prima di sparire riuscirà a trasmettere l’orrore assoluto che precede il massacro e che Bachi apparenta all’orrore delle vittime.
Seyf è un membro dell’Organizzazione, ma più che agire sembra essere agito da una follia che soltanto grazie ad alcool e allucinogeni sente sua.

Sa che Dio non è dalla sua parte ma riesce a convincersi che il grande Fuoco con cui abbaglierà gli Stati Uniti l’indomani sarà seguito dalla grande Gioia che Dio gli darà come premio: «Un fondamentalista convinto non mi avrebbe lasciato margine» ha dichiarato Bachi. «Avevo bisogno di descrivere un essere umano e non un robot programmato per la distruzione. Ecco perché Uccideteli tutti non è un saggio sulla genesi dell’11 settembre».

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