Controcultura

Nella "Natività" di Giotto nasce la pittura moderna

La marginalità di Giuseppe, la cura di Maria per il figlio. Finezza e geometria s'incontrano

Nella "Natività" di Giotto nasce la pittura moderna

Perché Giotto è il primo pittore moderno? È utile la parola «moderno» a definirlo? Chi è stato una volta nella Cappella degli Scrovegni a Padova ha provato una emozione irripetibile, perfino più forte di quella che suscita la Cappella Sistina. Negli Scrovegni c'è un'immersione, percepibile illusivamente anche nella riproduzione ambientale all'entrata della mostra «Giotto e il Novecento», al Mart di Rovereto. Si entra nel profondo azzurro di un cielo stellato e si assiste, d'un solo fiato, alle storie della vita di Cristo.

Nessun film ci darebbe questa emozione. Tutto è lì, davanti a noi, tutto vive, si muove, con una sorprendente presenza. La differenza, rispetto al cinema, è nel fatto che siamo noi a muoverci. Le storie sono immobili, il nostro corpo, i nostri occhi le seguono in un piano-sequenza. Tutto era nella mente di Giotto, tutto era in un eterno presente che si manifesta con una serie di istanti che i nostri occhi seguono nella serie di storie illustrate nei singoli riquadri.

La Natività è uno degli episodi più rappresentati dagli artisti. E proprio fermandoci davanti al riquadro degli Scrovegni che la illustra, ci rendiamo conto della assoluta modernità di Giotto. La storia è semplice, la raccontano i Vangeli. Luca scrive: «Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia. E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama. Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere. Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore. I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro».

Tutto è davanti a noi, in una composizione perfetta. Il paesaggio è montuoso, pronto ad accogliere una capanna provvisoria, come una pensilina, per riparare, sotto il suo tetto, la Madonna distesa all'antica, come su un triclinio. Intorno si muove un mondo. Seduto a terra, stanco, accoccolato nel suo mantello, Giuseppe dorme. È consapevole di non essere essenziale, e Giotto ce lo mostra estraneo al rapporto sentimentale che unisce la madre e il figlio. Poi ci sono i pastori. Non possono mancare. Ma sono distratti, di spalle. Mentre il loro gregge di pecore e capre è fermo e raccolto, loro sono attratti da un messaggio del cielo. Il gruppo di angeli che sta sopra il tetto rassicura della benedizione divina di cui gli angeli sono garanti. I pastori li guardano curiosi come si assiste ai fuochi d'artificio, a una apparizione imprevista ed eccezionale.

Tutto è perfettamente coerente e naturale, e proprio la distrazione dei pastori o l'assenza di Giuseppe ci sospingono a concentrare la nostra attenzione sul dialogo amoroso tra la madre e Gesù. Lì è il senso della storia: nell'amore materno, nell'infinita dolcezza della madre, con il volto bianco e luminoso, che stringe il bambino in fasce, amorevolmente, e pensa al suo conforto, aiutata da un'ancella, per porlo, con grande delicatezza, nella mangiatoia, e avere il soffio dell'alito caldo del bue e dell'asinello.

Giotto, in un colpo d'occhio, racconta la varietà delle condizioni umane. Il suo non è un teatro: è la vita. E la Natività è una storia di affetto materno, di tenerezza, di grazia. Nel ritmo perfetto della composizione ci colpisce la verità delle emozioni, la cura. Nella concentrazione su quell'episodio centrale, con gli sguardi assorti, la leggerezza dei gesti e delle mani di Maria e dell'ancella che spostano il bambino con infinita dolcezza, noi avvertiamo il sentimento profondo della maternità che è fatto di amore, e non ha bisogno di altro che di dedizione, ancora più intensa della devozione.

Giotto, come nessuno prima di lui, esprime affetti e delicatezza umana, come se Maria interpretasse le parole di Battiato nella canzone La cura: «Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza/ Percorreremo assieme le vie che portano all'essenza./ (...) Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto/ Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono/ Supererò le correnti gravitazionali/ Lo spazio e la luce per non farti invecchiare/ Ti salverò da ogni malinconia/ Perché sei un essere speciale/ Ed io avrò cura di te/ Io sì, che avrò cura di te».

Se dalla rappresentazione di Giotto ci spostiamo alle tante successive rappresentazioni della Natività, non troveremo in nessuna di esse tanta esattezza nella descrizione dei sentimenti, un esprit de finesse che si esprime attraverso l'esprit de géométrie di una composizione perfetta, dove ogni elemento racconta una condizione umana, dallo stupore all'amore.

Non si può fare di più, non si può dire di più.

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