"Nella terra dell'islam dipingo Gesù e Maria. L'arte non ha limiti"

È siriano, lavora negli Emirati e vende ai ricchi sauditi. I suoi soggetti sono tutti sacri e cristiani

"Nella terra dell'islam dipingo Gesù e Maria. L'arte non ha limiti"

Alessandro Gnocchi

nostro inviato a Sharjah

N el suo studio alla Art foundation incontro Ismail Rifai, uno straordinario artista e scrittore. Con me c'è sua figlia Leen, che fa la ricercatrice al Museo della civiltà islamica proprio accanto. Siamo nel distretto artistico di Sharjah. Qui, a migliaia di chilometri da Roma, nella terra dell'islam, Rifai dipinge soggetti sacri: Cristo, gli apostoli, gli angeli, Maria, la Maddalena. Sono toccanti capolavori, una porta sul divino, sul significato della vita e del sacrificio di Gesù. L'amore, il dolore, la santità. C'è tutto. E tutto ha una forza commovente. C'è qualcosa di vero in questi quadri che possono essere guardati uno per volta o assieme, addirittura uno sopra l'altro, perché dipingono la vita, tutta quanta, mondana e divina, terrena e ultraterrena. Ismail Rifai, nato in Siria nel 1967, si è trasferito negli Emirati nel 2002. Tutti i suoi ricordi, i luoghi cari perché famigliari sono in quella terra martoriata dalla guerra.

Signor Rifai, lei è cristiano?

«Forse, non lo so».

Ma nel suo studio vedo solo soggetti cristiani...

«Ho iniziato nel 2015 a dipingere Cristo. Mi creda: non so perché. Ma ho dipinto scene della sua vita per un anno intero. Nel frattempo, mi è stata commissionata una Ultima cena».

Coincidenza?

«No, non credo. Era il destino. La storia di Gesù è la storia della sofferenza umana e di come sia possibile curarla o almeno lenirla attraverso il suo messaggio di amore. In quel periodo mentre dipingevo sentivo un legame sempre più profondo con Gesù. Ogni giorno, guardando i miei stessi quadri, chiedevo a Gesù: perché non riesco a smettere di dipingerti? Qualcuno mi ha fatto notare che in alcuni quadri ho finito, senza volerlo, per dargli un volto simile al mio. È vero. Riconoscere il mio volto nel suo volto, la sua sofferenza nella mia sofferenza, è stato scioccante. L'Ultima cena è una immagine potentissima: racchiude tutta la vita. Sei costretto a dipingere tutta la vita. L'amore, il presagio della morte, l'amicizia, il tradimento, la festa, il rito. Sconvolgente».

Ma...

«Aspetti, c'è una altra cosa sconvolgente. Cristo ha scelto come vivere ma anche come morire. A volte penso che la sua morte fosse voluta, nel senso che ha voluto cancellare con la sua morte ogni traccia del suo ego, lasciando solo il messaggio».

Avrà pensato alla Ultima cena di Leonardo...

«Certo, adoro Leonardo. E le racconto una cosa».

Prego.

«Mentre dipingevo l'Ultima cena, un amico europeo mi ha mandato spontaneamente l'opera completa di Leonardo. La può vedere sullo scaffale».

Coincidenza?

«No, non credo. Ho ridisegnato ogni sua opera. Era un vero poeta. Quest'estate verrò in Italia per vederlo finalmente dal vivo».

Altri suoi quadri, ad esempio quella deposizione là in fondo, rivelano lo studio di Michelangelo o sbaglio?

«Vede accanto al volume di Leonardo? C'è quello di Michelangelo, anche in questo caso ho ridisegnato tutto».

Non mi dica che le è arrivato mentre dipingeva la deposizione...

«Proprio così, le coincidenze non esistono. Ogni cosa ha il suo momento. In quel momento dovevo dipingere Gesù, lavoravo ore e ore, dormivo poco, ho causato forse dolore alla mia famiglia, ero assente. Ma era un bisogno che nasceva dall'anima e non potevo ignorarlo. Credo che Gesù, prima di camminare sulle acque, abbia dovuto nuotare fino in fondo al mare. Scoprire cosa aveva dentro».

Per ora abbiamo parlato solo di pittori europei. Cosa c'è di orientale nella sua arte?

«La composizione, il modo in cui dipingo sulla tela. Ma non credo molto a queste divisioni, una cosa orientale, l'altra occidentale... L'arte viene dalla nostra musica interiore, dalla parte nascosta dell'anima e quindi, alla fine, è universale. Se è buona arte. Proprio perché così personale, l'arte non può essere al servizio di una ideologia o accettare limiti nella libertà d'espressione».

Appunto, ma nessuno le dice niente? È in una istituzione statale di un Paese islamico e dipinge soggetti sacri cristiani!

«Non ho mai avuto problemi. Anzi, la prima serie di Cristo l'ho venduta in blocco a un collezionista saudita nel 2015. È venuto qua, con sua moglie, ha guardato e ha comprato tutto senza chiedere neppure il prezzo».

Quanto costa un suo quadro?

«Dipende. Quello di media-grande dimensione che ha davanti agli occhi circa 40mila euro».

Il collezionista ha preso tutto?

«Tutto. Era segno che dovevo smettere di dipingere Gesù. E così è stato per qualche anno. Però continuavo a pensarci. Nel 2019 ho dipinto solo Gesù. L'anno prossimo vedremo».

Nella nuova serie usa solo quattro colori: bianco, grigio, nero, blu.

«Ho usato altri colori. Ma ho smesso nel 2011 quando la rivoluzione in Siria ha cominciato a diventare un massacro. Sono stati uccisi anche i colori, osservi le fotografie. Sono ancora legato al mio Paese. Qui vivo benissimo ma là ho passato i primi 35 anni della mia vita. Le stragi e la guerra mi hanno fatto perdere la voglia di usare troppi colori. Ma non mi sono detto: usa meno colori. Mi è venuto spontaneo».

Mi sembra di capire che il mercato dell'arte sia vivace...

«Lo è. Ma negli ultimi tre anni ha comunque avuto una frenata brusca. Qualche segnale di risveglio si intravede proprio ora».

Lei è anche uno scrittore.

«Ho scritto poesie e romanzi, qualcosa pubblicherò anche in Italia. I miei libri sono complicati da stampare. Voi li chiamate libri d'artista. Eccone uno, guardi. Ogni foglio è dipinto o trattato in modo diverso, accanto alle poesie ci sono tavole con i disegni. In alcune pagine, ho cancellato parte dei versi».

Le mostro cosa fa un artista italiano, Emilio Isgrò, molto diverso da lei. Anche lui cancella le parole.

«Oh, bellissimo. Interessante».

Che tipo di poesie sono?

«Sono ispirate alla tradizione sufi, la corrente mistica dell'islam. Sono un altro modo di scavare dentro se stessi. Il premio, per così dire, è la calma, la pace interiore».

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