Nelle carceri emergenza per l’epatite C

Un mondo di cui si parla poco, quello delle carceri, nasconde gravi problemi di salute pubblica. Lo conferma una inchiesta condotta da Gfk-Eurisko in venticinque penitenziari italiani. C’è una malattia, l’epatite C, che colpisce addirittura un detenuto su tre. Questo dato diventa drammatico quando si scopre che solo la metà dei detenuti affetti da epatite C viene messo subito in terapia.
Le cause di questo «ritardo» sono varie: rifiuto dei detenuti, trasferimenti, scarcerazioni. In tutte queste situazioni è fatale un peggioramento della malattia, come hanno concordemente riconosciuto sia i medici carcerari sia i rappresentanti di Antigone, l’associazione che si occupa dei diritti dei detenuti nel sistema penale.
La malattia epatica è ad altissimo rischio, in regime di detenzione, perché molte condizioni ne favoriscono la diffusione: la concentrazione di molti soggetti tossicodipendenti, il sovraffollamento, l’uso «in comune» di vari oggetti, il ricorso ai tatuaggi. Molti detenuti rifiutano di curarsi in cella perché sperano di essere trasferiti in ospedale. Giulio Starnini, direttore del dipartimento malattie infettive nell’ospedale di Viterbo, ha proposto l’abbattimento dell’attuale normativa e il passaggio al Servizio sanitario nazionale (o alle Regioni) dall’assistenza medica ai detenuti. Ciò deve accompagnarsi, ha detto, alla riconversione dei centri clinici - pochi - che attualmente si trovano all’interno di alcuni ospedali italiani. I detenuti, nella maggior parte dei casi, sono vittime di stili di vita che hanno preceduto la carcerazione. Le condizioni igienico sanitarie, la promiscuità, gli spazi ristretti in cui sono costretti a vivere complicano la loro vita e rendono più fragile il loro organismo, aggravandone il danno fisico e quello psichico.
Per l’epatite C, nel caso di accettazione da parte del malato, viene applicata con buoni risultati una terapia a base di interferone pegilato e ribavirina: guarigione in oltre la metà dei casi. Purtroppo, però, non c’è solo l’epatite C. L’inchiesta di Gfk-Eurisko ha accertato la frequenza, nei detenuti, di patologie psichiatriche (nel 2006 sono stati registrati 50 suicidi), di tossicodipendenze (26 su 100), di Aids conclamato. Insomma le «emergenze» sono molte. Manca però la necessaria autonomia - anche finanziaria - più volte reclamata dalla Società italiana di medicina penitenziaria. Si richiede, in particolare, un decreto ministeriale che disegni nuove realtà assistenziali da affidare alle unità operative di medicina penitenziaria e - contemporaneamente - agli assessorati alla Sanità di ogni Regione: nell’interesse, naturalmente, della salute pubblica.


In Italia gli istituti penitenziari sono 205 ed i reclusi 46mila (la capienza è di 43mila). La fascia di età più rappresentata è quella compresa tra i 30 e i 40 anni. Le malattie infettive e in particolare Aids ed epatite C trovano un terreno molto fertile in questa popolazione.

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