Nelle cattedrali del sapere pochi soldi e troppi scandali

Harvard è travolta dalle gaffe del suo rettore e Princeton rischia la chiusura di una sua facoltà d’élite

Giuseppe De Bellis

Ci sono problemi che le classifiche nascondono. Oxford e Cambridge migliorano, ma perdono: economicamente non reggono, sconfitte dai costi e dalla concorrenza. Harvard da sola fattura il doppio di tutte le università inglesi messe insieme. Però anche lei se la passa male: perché è prima nella graduatoria degli atenei più prestigiosi del mondo, ma se si confronta con se stessa di cinque anni fa, si scopre peggiorata. Restano i nomi, la gloria, la tradizione, ma la crisi è molto più di uno spettro. E si vede: Harvard negli Usa negli ultimi due anni è stata travolta da una serie di scandali che hanno distrutto la sua credibilità. Lawrence Summers, il controverso presidente, s’è dimesso qualche mese fa. L'economista, ex ministro del Tesoro dell'amministrazione Clinton, rischiava la sfiducia dei professori: lascerà il posto a fine anno accademico, prima di essere cacciato. L'anno scorso Summers era stato quasi travolto da una insurrezione dei cattedratici per aver collegato a «caratteristiche innate» la scarsa presenza di donne ai vertici delle carriere scientifiche. Alla fine, dopo esser stato contestato dal Senato accademico, ma non dalla potentissima Harvard Corporation che ha potere di vita o di morte sulle attività del campus, il leader dell'università s’era pentito ed era rimasto in sella.
In cinque anni a Harvard, Summers si era fatto nemici a volontà: il suo stile brusco e senza peli sulla lingua aveva provocato un esodo di luminari afro-americani tra cui il celebre Cornell West. La polemica sulle donne e la scienza non aveva aiutato. Poi è arrivato un libro che ha raccontato lo scandalo interno all’ateneo, dove i figli di politici, imprenditori e star avevano vita facile: test di ammissione facilitati, corsi di preiscrizione fatti solo sulla carta. Tanto, pagando s’impara, anche lì. Altra botta alla credibilità. Harvard ha pagato: economicamente, visto che il suo bilancio è passato da 35 miliardi di dollari a 26. Poi politicamente: per la prima volta in dieci anni nella classifica tutta americana fatta da U-S News and World Report College, la più antica università degli Usa è diventata seconda. L’ha sorpassata Princeton. Solo che anche l’ateneo del New Jersey negli ultimi anni fatica. I suoi problemi sono solo meno evidenti, ma potrebbero avere effetti peggiori. Perché a Princeton l’università deve rispondere all’attacco degli eredi del suo più grande benefattore. La famiglia Robertson ha citato in tribunale l’ateneo perché i soldi del loro avo sarebbero stati usati per scopi diversi da quelli previsti dalla donazione di 40 anni fa. Fosse così, Princeton sarebbe costretta a chiudere la Woodrow Wilson School, uno dei suoi dipartimenti più prestigiosi. Il che non sarebbe solo un problema di immagine.

Esattamente come accade a Berkeley, altra università il cui nome nessuno mette in discussione, ma i cui risultati economico-culturali sono in ribasso: gli studenti sono costretti anche a pulire i viali del campus da soli.

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