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Il nemico di una vita. La guerra di Segrate incendiò l'editoria

«Indomito combattente». Così Carlo De Benedetti, già a capo del Gruppo Espresso e ora editore del Domani, ha dato il suo ultimo saluto a Silvio Berlusconi

Il nemico di una vita. La guerra di Segrate incendiò l'editoria

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«Indomito combattente». Così Carlo De Benedetti, già a capo del Gruppo Espresso e ora editore del Domani, ha dato il suo ultimo saluto a Silvio Berlusconi. Con una definizione che rimanda al lungo braccio di ferro tra i due imprenditori, protagonisti di un conflitto durato 23 anni e passato alla storia come «guerra di Segrate». Tutto combattuto, dalla fine degli anni '80, intorno al controllo della Mondadori.

Le azioni della casa editrice erano in quegli anni in mano agli eredi di Mario Formenton - marito di Cristina Mondadori, figlia di Arnoldo oltre che della Cir di De Benedetti e della Fininvest di Berlusconi, con gli ultimi due intenzionati a prendere possesso del gruppo editoriale. De Benedetti aveva strappato ai Formenton un accordo per acquisire le loro quote, ma gli eredi di Arnoldo avevano cambiato idea e spianato la strada a Berlusconi come presidente del Gruppo. De Benedetti si affidò quindi a un lodo arbitrale noto come lodo Mondadori, appunto che a giugno di 23 anni fa confermò la validità del suo accordo originario, assegnandogli la maggioranza delle quote. Il Cav reagisce e impugna il lodo, e una sentenza della Corte d'appello di Roma gli dà ragione e gli riconsegna le azioni Mondadori. Ma il braccio di ferro è tutt'alto che finito: tra gli altri a mettersi di traverso rispetto alle ambizioni di Berlusconi è il fondatore di Espresso e Repubblica, Carlo Caracciolo. Ad aprile dello stesso anno la contesa sembra trovare una composizione quando il re delle acque minerali, l'editore Giuseppe Ciarrapico, voluto come mediatore proprio da Caracciolo, propone un piano di spartizione che le parti accettano: a Finivest vanno la casa editrice, Panorama ed Epoca, più un conguaglio di 365 miliardi di lire per la cessione alla Cir di Espresso, Repubblica e Finegil. Nel 1995 la procura di Milano indaga sulla sentenza che ha cancellato il lodo, basandosi sulla testimonianza di Stefania Ariosto, che racconta di frequentazioni tra Cesare Previti e uno dei giudici della sentenza che aveva annullato il lodo, Vittorio Metta. I pm accusano Berlusconi di aver versato una tangente per «comprare» la sentenza, ma il Gup proscioglie il Cav e gli altri imputati. La procura fa appello e ottiene il rinvio a giudizio di Previti e Metta. Ma per Berlusconi anche la Corte d'appello rigetta la richiesta: anche in caso di colpevolezza il reato contestato sarebbe prescritto. Infine, anche il ricorso in Cassazione della procura generale contro il proscioglimento viene respinto. Saranno condannati solo i tre ex legali della Fininvest e Metta.

E De Benedetti, forte della sentenza, chiede a Fininvest un maxirisarcimento civile: in primo grado ottiene il pagamento di 750 milioni di euro, l'appello due anni dopo conferma il risarcimento «scontandolo» a 564,2 milioni, che in Cassazione diventano nel 2013 poco più di 540.

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