"Il neofascismo non è ideologia ma nostalgia movimentista"

Lo storico da "èStoria" ci racconta che cosa resta del Ventennio: "Mussolini voleva creare uno Stato. I suoi epigoni invece no"

"Il neofascismo non è ideologia ma nostalgia movimentista"

Quest'anno al Festival èStoria di Gorizia il tema del dibattito è «Fascismi», a partire dalle origini sino ad arrivare ai neofascismi attuali. Perché il mito del Ventennio, ma soprattutto del movimentismo fascista e della Rsi, hanno fatto molta strada. A èStoria questi temi li ha trattati ieri il professor Giuseppe Parlato. Mentre di «Mito e antimito della Rsi» parlerà oggi il professor Roberto Chiarini, del quale qui a fianco ospitiamo un intervento. Ma seguiamo con Parlato la storia del «fascismo dopo il fascismo».

Professor Parlato, quali idee rimangono dopo il Ventennio e quale percorso fanno?

«Credo che si possa dire che nel neofascismo, qualcuno direbbe post fascismo ma non vuol dire nulla, convergano tutte le culture che hanno animato il fascismo, quello movimentista e rivoluzionario, quello più istituzionale alla Bottai, meno nostalgico e più legato all'anticomunismo. E poi le componenti cattoliche, ma anche quelle che Almirante chiamava le componenti ghibelline del fascismo, più laiche. Sino ad arrivare a culture molto vicine alla sinistra. Il neofascismo tende a ripetere quel complesso culturale che aveva caratterizzato il fascismo. Tutte cose che erano state tenute insieme da Mussolini. È stato uno dei problemi del Movimento sociale aver assunto una complessità di temi che prima era sintetizzata da Mussolini, il quale aveva un partito di governo che doveva coinvolgere tutta la società. Il Movimento sociale era altrettanto pluralista avendo il 5 per cento».

Ecco, il fascismo era stato ideologicamente molto fluido. Mussolini non aveva voluto puntare sull'ideologia. Però è strano che un movimento così legato al leader e a-ideologico sia sopravvissuto alla scomparsa del leader medesimo. Come ha fatto?

«Si spiega con la categoria della nostalgia. Il neofascismo e il Movimento sociale nello specifico non è tenuto assieme dal dibattito e dall'elemento culturale. Quello che tiene uniti è proprio idea della memoria e del ricordo. Almirante non ha fondato il Movimento sociale, ma è lui che gli ha dato la torsione nostalgica, utile elettoralmente. Pensi all'inno siamo nati nel cupo tramonto. Rende l'idea... Lo scopo non è il potere, ma creare una società nuova. È importante tenere un bagaglio di memoria, e lo rimane per cinquant'anni, quando il fascismo al potere ci è rimasto per venti. E viene fatto a prescindere dalla situazione. C'è un tentativo di fare politica solo tra il '50 e il '69 ma non ci riuscirono».

Anche altri partiti però favorirono questa idea di un fascismo «eterno» per sfruttarla...

«Per contrapporvisi? Certamente, come il Partito comunista. Quando nell'ottobre del '50 Scelba portò in Parlamento la sua legge contro il Movimento sociale voleva un provvedimento che fermasse gli apparentamenti tra Msi e Monarchici. Il pericolo comunista per Scelba era nettamente superiore, ma voleva sganciare i missini dai monarchici per evitare che alle elezioni locali, cosa che poi accadde, una decina di capoluoghi del Sud finissero in mano a quel ticket politico inedito. I comunisti si opposero al passaggio urgente della legge al Senato. Si è detto perché si evitasse di passare a una legge polivalente contro i partiti totalitari. Ma secondo me l'Msi era fondamentale per i comunisti, perché giudicavano che fosse la garanzia per continuare a sostenere la necessità di un blocco antifascista. La sua presenza dirompente e muscolare favoriva la necessità di una sinistra unita che il Pci potesse guidare».

Ha detto che il tentativo di far politica dell'Msi durò solo dal 50 al '69. Perché?

«Facciamo un passo indietro. Fondatore dell'Msi è Pino Romualdi, il quale voleva fare un partito atlantico, monarchico, cattolico e anticomunista. Gli americani avevano tenuto contatti con la Decima Mas. Ma Romualdi viene arrestato alla vigilia delle elezioni del '48. Almirante allora assume la guida del partito, capisce che gli Usa hanno scelto la Dc, e intuisce che i voti si possono prendere solo con un richiamo identitario forte alla Rsi. Ne ottiene 5 deputati e sino al '50 continuano così. Non vogliono sedersi a destra in Parlamento... Nel 1950 Augusto De Marsanich sostituisce Almirante. De Marsanich, e lo farà anche Michelini dopo di lui, pensa subito che la Dc non avrà più il successo di prima, apre il partito e lo porta ad appoggiare quattro governi. L'ultimo è quello di Tambroni nel 1960. I missini contano, per le elezioni presidenziali. Sono determinanti nelle elezioni di Segni e Leone. Siamo molto lontani dal nostalgismo di Giorgio Almirante. Cercano di frenare l'apertura a sinistra magari spaccando la Dc e condizionandola. Nel 1969 la segreteria torna ad Almirante e questo tipo di progettualità di governo non ricomparirà sino a Fiuggi».

Dal punto di vista dell'area culturale neofascista, contano queste scelte tattiche o prevale la dimensione emotiva, nostalgica?

«Sia De Marsanich che Michelini dicono che non vogliono rinnegare il passato, ma consegnarlo alla storia. Una parte della base del partito, fortemente anticomunista, accetta il ragionamento. L'elemento giovanile invece va per un'altra strada, già con l'uscita di Ordine nuovo nel '56 dà vita a una serie di uscite che elettoralmente contano poco, ma contano molto nelle piazze e nelle università. Nasce un altro modello politico, nostalgico emotivamente, ma con una forte commistione culturale con il nazionalsocialismo o con i nazimaosti. Coniugare Evola a Mao. Collegare il tradizionalismo con posizioni antimoderne e antimperialiste. Piacciono i Vietcong, i Paesi arabi e anche i temi ecologici diventano prioritari».

E questo percorso arriva sino a noi...

«Questo elemento nostalgico, anche nella destra radicale, diversa dall'Msi, si è affievolito nel tempo. In questi movimenti hanno trovato spazio anche aspirazioni rivoluzionarie che avevano una genesi diversa, secondo qualcuno una genesi a libro paga del ministero dell'Interno... È una questione tutta da approfondire. Certo, ad esempio l'antiamericanismo è rimasto come un fiume carsico che ha continuato a riaffiorare di tanto in tanto. E quindi i nemici degli Stati Uniti sono sempre visti come amici. La nostalgia a un certo punto diventa folclore».

Ma perché il fascismo con vent'anni di governo ha lasciato come imprinting soprattutto l'avanguardismo e l'Rsi?

«Fascismo di regime è vissuto come un necessario compromwsso con i poteri forti. É il fascismo eversivo che piace a destra radicale non quella che crea lo Stato. Questa destra radicale non ama cose come la conciliazione... Si tratta di una destra radicale che è destra sino ad un certo punto».

Fuori d'Italia che impronta ha dato il fascismo. Il neofascismo è solo italiano?

«Mussolini stesso considerava il fascismo come un fenomeno non esportabile. Mussolini voleva costruire lo Stato, lo Stato italiano. È più internazionalista il nazismo, anche con la teoria della razza.

A livello internazionale fanno presa altre idee di destra, spesso legate alla tradizione. Mussolini non dava peso all'ideologia. Gli interessava lo Stato. Evola durante il fascismo non contava quasi nulla. Dopo la guerra è diventato importante. Colmava un vuoto».

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