Neri Marcoré e Claudio Gioè reinventano Pasolini e Gaber

È nato come un reading, ma è diventato grande. E ora «Eretici e Corsari» che il regista Giorgio Gallione ha tratto dall’opera di Pier Paolo Pasolini, Giorgio Gaber e Sandro Luporini si è trasformato in uno spettacolo. La produzione del Teatro dell’Archivolto è stata riallastita ma i protagonisti sono sempre loro: Claudio Gioè e Neri Marcoré, con loro sul palco il gruppo Gnu Quartet, che ha ri-arrangiato i brani musicali di Gaber proposti nello spettacolo. Da gennaio a marzo lo spettacolo girerà l’Italia, e tra le varie tappe ci sarà anche il Teatro Streheler di Milano (dal 17 al 28 gennaio) e il Teatro Olimpico di Roma (dal 21 febbraio al 4 marzo). Ma il debutto sarà qui a Genova, a Teatro Modena, venerdì e sabato prossimi, alle 21.
Lo spettacolo è nato come un confronto a distanza tra il pensiero di Giorgio Gaber e quello di Pier Paolo Pasolini. Su questa intuizione si innesta lo spettacolo, che fa seguito a un progetto più ampio realizzato dal Teatro dell’Archivolto in collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber e che ha dato vita nelle passate stagioni ad altri tre spettacoli: «Il dio bambino» con Eugenio Allegri nel 2007, «Un certo Signor G» con Neri Marcoré sempre nel 2007, e «Io quella volta lì avevo 25 anni» interpretato da Claudio Bisio nel 2008.
A metà degli anni ’70 Pier Paolo Pasolini scrive e pubblica «Scritti corsari», una raccolta di articoli e riflessioni sulla trasformazione dell’Italia di quegli anni. In una intervista Gaber commenta «sviluppo senza progresso... mi sembra la sintesi più appropriata della nostra epoca».
Pasolini racconta un sistema che sta attuando un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità, che fonda il proprio potere su una ipnotica promessa di comodità e benessere, ma che in realtà sta trasformando il cittadino in un «uomo che solo consuma»; sottolinea altresì le eccezioni, le resistenze, le sopravvivenze, ma in sostanza tende a radiografare impietosamente il proprio tempo, esasperando talvolta l’analisi per chiedere almeno una reazione, per provocare una sorta di «captatio malevolentiae» da cui far nascere un dibattito non ipocrita.
In quegli stessi anni Gaber e Luporini non solo si muovono su una lunghezza d’onda analoga, mai bonariamente autoassolutoria, ma si nutrono e spesso condividono molte delle intuizioni pasoliniane, che trasformate e personalizzate, entrano in filigrana nei testi del teatro gaberiano.
Monologhi e canzoni come «L’appartenenza», «Gli oggetti», «Il grido», «La festa», «Il cancro», «Qualcuno era comunista» svelano palesemente questa vicinanza, questo modo disincantato e spesso amaro di guardare il mondo, la società e il proprio paese.
«Eretici e corsari» è uno spettacolo che si alimenta di questi materiali: monologhi, articoli, canzoni, frammenti di interviste di due artisti e intellettuali «non organici», che non temono di compromettersi e di risultare anche scomodi, poeti d’opposizione, diversi nella libertà, che con lucida preveggenza ci svelano che «il futuro è già finito» e che sarebbe ora di tornare a privilegiare il «crescere» rispetto al «consumare».
Scrive Giorgio Gaber . «Io non sono mai stato un militante, mai tesserato, mai propagandista. Questo essere un po’ dentro un po’ fuori, che mi è stato anche imputato, per me è vitale. Io credo invece nell’utopia della politica come indagine nella realtà».


E Pasolini, in un articolo del 6 ottobre del 1974 che fa parte di «Scritti Corsari»: «Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla e dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non avere niente da perdere e quindi di non essere fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore, che io considero del resto degno di ogni più scandalosa ricerca».

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