«Nessun inciucio, ottima idea Ma difficile da realizzare»

Il politologo Piero Ignazi: «Sarebbe una camera di compensazione per le tensioni tra i partiti. Migliore del referendum»

da Roma

«La proposta Amato? Un’ottima camera di compensazione per le tensioni tra i due poli, seppure di difficilissima realizzazione perché manca una qualunque ipotesi di accordo sui contenuti». Piero Ignazi, politologo e docente di politica comparata all’Università di Bologna, concede una sostanziale benedizione all’idea di una Convenzione per la revisione della legge elettorale. Ma non nasconde i suoi timori per l’esito di un dibattito costellato da mille ostacoli.
Professor Ignazi, condivide la via indicata dal ministro dell’Interno per modificare la legge elettorale?
«Io credo sia un’ottima idea. Amato probabilmente è influenzato dall’esperienza fatta come membro della Convenzione europea e vede in questo strumento uno dei passaggi per arrivare a un punto di sintesi. La convenzione rende il dibattito trasparente e obbliga a giocare in campo aperto».
Molti, nel centrosinistra, temono che possa essere l’anticamera per le grandi intese.
«Innanzitutto qui si parla solo di un aspetto molto particolare. Inoltre questo governo si regge su equilibri e numeri molto risicati. Nel caso di un improvviso crollo e della necessità di tornare alle urne sarebbe meglio non votare con una legge piena di difetti di carattere tecnico come quella attuale».
Quindi i timori per le prove tecniche di inciucio sono ingiustificati?
«Io credo piuttosto che possa essere un modo per trovare un terreno di dialogo aperto e trasparente. Può rappresentare una camera di compensazione delle tensioni».
Lei crede che i partiti siano in grado di autoriformarsi? In soldoni non crede che difficilmente possa essere il tacchino a preparare il pranzo di Natale e sia invece necessaria la strada referendaria?
«La strada referendaria ha spesso sbloccato problemi insolubili ma, in questa fase, il sistema che ne emergerebbe non mi convince molto. Io sono sempre stato sostenitore della variante francese, con il doppio turno che dà grandi garanzie sull’elezione di un candidato capace di raccogliere più del 50% dei suffragi del collegio».
Qual è, invece, lo spettro da cui fuggire?
«Il modello regionale con il proporzionale e il listino. Comunque il problema fondamentale è quello di mettersi al tavolo cercando di rispondere a una domanda di fondo: vogliamo un sistema che fotografi le varie differenze che esistono in Italia quindi cento e un partito oppure un sistema che faciliti la governabilità? Per il resto ci sono vari tipi di sistemi elettorali praticabili. La speranza è che non ci siano scienziati desiderosi di inventarne uno nuovo, come accade spesso in Italia».
Secondo Mastella le riforme sono funzionali più a far nascere il Partito democratico e quello della libertà che ad assecondare le esigenze dell’elettorato.
«Non credo alle dietrologie mastelliane. Credo piuttosto che gli elettori stessero imparando a usare il maggioritario ed è un peccato che sia stato mandato al macero, anche perché stava iniziando a produrre i suoi effetti e stava innescando processi di aggregazione tra partiti, con le forze maggiori a fare da magneti».
Se lei dovesse fare una previsione come crede che finirà questa partita della legge elettorale? La riforma si farà in Parlamento, attraverso la Convenzione proposta da Amato o attraverso il referendum?
«Non sono in grado di risponderle.

Peraltro ho paura che il referendum possa riservare spiacevoli sorprese ai promotori, vista l’affluenza degli ultimi due. Ci andrei cauto con gli entusiasmi dei referendari. Il mio timore è che alla fine si faccia strada il peggiore sistema possibile: quello delle Regionali. Sarebbe un grande pasticcio».

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