NESSUN PASSO INDIETRO

La discussione sul «Delfinato» seguirà quella del «Termidoro» e pur cambiando i nomi il tema è il solito: chi sarà il leader dopo Silvio Berlusconi? Le frasi del Cavaliere su Gianfranco Fini sono importanti, ma non - come si crede - per il tema della successione. Non c’è alcun passo indietro di Berlusconi, semmai dobbiamo registrare un paio di passi avanti. Vediamo perché.
Le possibilità che il governo Prodi cada sono legate a due scenari: 1. Una crisi di politica internazionale su cui le varie anime dell’Unione non riescono a trovare un compromesso; 2. Una pesante e irrimediabile sconfitta elettorale.
Il primo caso non è scolastico, basti pensare all’Iran che sta costruendo la bomba atomica e al caos mediorientale. Il secondo è addirittura in agenda: le prossime elezioni amministrative (test a maggio con oltre 10 milioni di votanti) e quelle europee del 2009.
Le scadenze sono ravvicinate, le possibilità che la maggioranza vada in crisi reali, il centrodestra non può farsi trovare impreparato. La strategia della «spallata» è stata sostituita da una politica di medio termine che ha un obiettivo primario: rafforzare il «nocciolo duro» dell’alleanza, depotenziare la spinta centrifuga dell’Udc, non farsi prendere di sorpresa dalla eventuale caduta dell’Unione, avere una leadership carismatica e un nuovo centrodestra.
Per centrare questi obiettivi Berlusconi deve stringere i bulloni dell’asse con An e continuare a rassicurare la Lega su autonomia e legge elettorale (questi sono i punti fondamentali per Bossi, non la successione né il partito unico). Letta in questa chiave, la dichiarazione del leader di Forza Italia è logica e può trovare un luogo di sintesi: la Federazione. Cioè lo strumento che Fini - proprio l’altro ieri in un’intervista al Giornale - ha chiesto sia realizzato guardacaso prima delle elezioni amministrative, l’architettura politica alla quale sta lavorando Giulio Tremonti. Visto in prospettiva dunque il tema non è quello della successione - An ha spiegato che «il problema non è all’ordine del giorno» - ma della coesione e «rifondazione» del centrodestra. È una strategia che sul piano interno mette allo scoperto i limiti dell’altra opposizione, quella di Casini. Stretta nel blocco centrodestra-centrosinistra, l’Udc ha lo stesso spazio di manovra di un canotto in una piscina e la frase infelice pronunciata ieri dall’ex presidente della Camera («ognuno si sceglie i dirigenti che vuole») è sintomatica delle difficoltà in cui si muove un partito che trarrebbe giovamento solo da un’improbabile scomposizione dei poli.
Il problema non è quello del «Delfinato», le scadenze elettorali sono talmente ravvicinate che a nessuno è consentita una fuga in avanti: basta dare un’occhiata ai sondaggi per capire che non si può pensare di capitalizzare la sfiducia nei confronti del governo senza il Cavaliere in sella. È il leader carismatico sul quale contare perché interpreta al meglio un fenomeno sociale pre-esistente allo stesso Berlusconi: il berlusconismo. La sinistra italiana non ne ha mai compreso i fondamenti e le ragioni e per questo si trova perennemente in transizione.

Il problema della successione, dunque, non è di Berlusconi e paradossalmente nemmeno dei suoi potenziali eredi. Riguarda l’elettorato del centrodestra e le sue pulsioni più profonde, le sue aspirazioni. Quell’elettorato oggi si riconosce nel Cavaliere. Scalpita e non vede l’ora di votare.

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