Nessuno è superstizioso. Finché non si trova un gatto nero davanti...

L'uomo dalla notte dei tempi all'era digitale ricorre a talismani e precauzioni contro i rischi

Nessuno è superstizioso. Finché non si trova un gatto nero davanti...
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Nell'anno 525 a.C. Cambise II di Persia, figlio di Ciro il Grande e Gran Rre dell'Impero achemenide, aveva riportato una storica vittoria sull'esercito egiziano. Un oracolo gli aveva suggerito di posizionare alla testa dell'esercito seicento guerrieri e di far legare ai loro scudi dei gatti vivi. Spiazzati da questo trucco, i soldati del Faraone si erano rifiutati di combattere, per non correre il rischio di ferirne qualcuno durante il corpo a corpo con gli avversari: la sventura che ne sarebbe derivata era considerata senza dubbio superiore a quella della sconfitta sul campo. Come dimostra un inno del IV secolo a.C. dedicato a Râ il dio Sole ("Oh gatto sacro! La tua testa è la testa del dio del Sole ... la tua bocca è la bocca del dio Atmou, che ti ha preservato da ogni macchia"), il gatto, infatti, era divinizzato e considerato in grado di neutralizzare gli influssi negativi.

Nel 1787, Nicola Valletta aveva pubblicato il libro Cicalata sul fascino, volgarmente detto jettatura, in cui tracciava il profilo dello iettatore. Vari anni più tardi, Stendhal, che gli aveva fatto visita a Napoli, raccontava di aver visto, appeso al soffitto, un corno di dimensioni tali da toccare quasi il pavimento.

E gatti, corni, corna, antidoti, specchi, scaramanzie, giorni sfortunati, amuleti infallibili, talismani indispensabili e rituali apotropaici sono i protagonisti del libro di Marino Niola ed Elisabetta Moro, Gatti neri e specchi rotti. Perché siamo superstiziosi (Einaudi, pagg. 136, euro 13). Perché, nonostante Voltaire considerasse la superstizione una tara dell'umanità e Albert Einstein ritenesse la fede in Dio la più infantile delle superstizioni, in molti non siamo immuni da quelli che sono, in fin dei conti, veri e propri rituali: c'è chi evita di calpestare le fughe, cioè le righe fra una mattonella e l'altra; chi entra in luogo sempre con lo stesso piede; chi non indossa un vestito o evita qualche colore persuaso porti male. E c'è da dire che nonostante i progressi della scienza, l'alfabetizzazione e le nuove tecnologia, l'immaginario scaramantico non sembra conoscere alcun declino...

Ci sono poi superstizioni più o meno universali - anche se tutti conosciamo qualcuno che si ostina a negarle - come quelle relative ai numeri 13 e 17, che sono non a caso banditi da molte compagnie aeree. La cattiva aura che circonda il 17 risale probabilmente alla Roma antica, dove la cifra, scritta in numero romano XVII, anagrammandola diventava VIXI, cioè "Vissi" (dunque "Non vivo più"): un'inquietante, macabra profezia. Il 13, invece, deve la sua pessima fama all'Ultima Cena, dove i commensali, oltre a Gesù, erano proprio tredici. ssociato ai due numeri più temuti c'è il venerdì, circondato da una sinistra fama: la Cabala racconta che il venerdì furono creati gli spiriti maligni; e il venerdì è anche il giorno della morte di Gesù.

La superstizione ha fedeli illustri: Lord Byron, ad esempio, era così superstizioso da non vestirsi mai di nero o da non viaggiare mai di venerdì; Charles Dickens toccava tutto tre volte, persuaso fosse di buon auspicio; Apollinaire evitava con grande attenzione di passare sotto una scala; James Joyce badava scrupolosamente a come erano messe le posate e a come gli versavano il vino; Gabriele d'Annunzio si rifiutava di scrivere il numero 13 e, per non pronunciare neppure la parola fatale, venerdì, diceva "il giorno dopo giovedì".

Nel rigoroso mondo della superstizione, infine, toccare e toccarsi è una delle azioni necessarie per scacciare la malasorte. Nella primavera del 1914, il barone Manteuffel era in Italia, a Capri, per preparare la sua monumentale opera per l'Institut des recherches sexuelles.

Al di fuori dell'India, non aveva mai visto un culto fallico diffuso come in Italia, testimoniato a suo parere anche dall'insistita abitudine degli uomini italiani di toccarsi, che aveva costretto una regina delle Due Sicilie a sferrare colpi di ventaglio sulle dita del marito.

Ma che, sotto sotto, non sia questa Freud permettendo la sola invidia del pene che le donne conoscono?

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