Neuroscienza La generazione digitale legge in fretta ma non impara

Non siamo nati per leggere, ma per fortuna siamo dotati di un cervello straordinariamente flessibile. Per leggere ciascuna parola di queste righe non state impiegando più di trecento millisecondi e solo altri duecento ve ne servono per mettere a fuoco il significato. Eppure, tutta la fatica fatta dal nostro cervello da 6mila anni - quando i Sumeri s’inventarono la scrittura cuneiforme -, tutto lo sforzo impiegato per costruire collegamenti neuronali adatti in origine a processi più semplici, insomma tutta «la fantastica avventura del cervello che legge», potrebbe concludersi senza lieto fine.
Lo sostiene Maryanne Wolf, neuroscienziata americana, direttrice alla Tufts University del Massachusetts di un Centro di ricerca sulla lettura: il risultato di cinque anni di studi su bambini e adulti è ora raccolto in Proust e il calamaro (Vita e Pensiero, pagg. 306, 20 euro, trad. S. Galli), saggio che - dati alla mano - stigmatizza gli effetti della cultura digitale, colpevole di privilegiare l’immagine alla scrittura. Luddista è stato il più gentile degli epiteti che le hanno rivolto i suoi detrattori in patria, ma la scienziata, che dopo un intervento al Festivaletteratura di Mantova oggi è all’Università Cattolica di Milano per una giornata di studi sul tema «La lettura oggi tra cambiamenti culturali e difficoltà cognitive» (dalle 10, in via Nirone 1), sorride: «Non mi spavento: sono una vera paladina della lingua scritta. Non sono tecnofoba, riconosco l’importanza di Internet, ma invito a non farsi incantare: ci sono dei rischi, e gli studi lo dimostrano». Pare, ad esempio, che tra i cosiddetti «nativi digitali» il processo di lettura sia diventato più arduo: tra i trecento millisecondi della lettura di una parola e i duecento necessari a comprenderne il significato, il loro cervello risulta spesso già distratto da altro. «La colpa è di tre fattori - spiega Wolf -: il bombardamento di informazioni, la velocità, anzi direi la smania che caratterizza la lettura in Rete, e la superficialità verso ciò che si legge». E ancora: «Il cervello digitale, ossessionato dall’efficienza e dalla rapidità a tutti i costi, dimentica di andare in profondità, di accumulare nuove conoscenze, di interiorizzare le informazioni. In sintesi: disimpara a produrre cultura così come noi la conosciamo, in tutto e per tutto figlia del cervello che legge».
Maryanne Wolf unisce la passione per i classici (da cui il Proust del titolo) alle analisi in laboratorio (il cervello dei calamari è quello usato negli esperimenti perché molto semplice): «Molti studiosi concordano sul fatto che noi siamo ciò che leggiamo - commenta -, e di certo più si legge meglio è. Mi permetto tuttavia di aggiungere che noi siamo anche come leggiamo. Solo la lettura di un libro, densa e profonda, ci trasforma da lettori-prodotto a lettori attivi».

Come madre di un bambino dislessico e luminare negli studi sull’argomento, Maryanne Wolf è anche donna pratica: «Ognuno di noi ha un suo ruolo: io vesto quello antipatico della scienziata critica verso i nuovi media. Se sono troppo dura, il tempo lo dimostrerà. Per ora resto convinta che non si possa guardare al futuro trascurando la lettura».

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