«New York Times» nella bufera delle polemiche

da New York

Lo scandalo che fa tremare il presidente George W. Bush e che può diventare il Watergate dell’amministrazione repubblicana è, per ora, una bufera nella redazione del giornale più famoso al mondo, il New York Times, con scambi di accuse tra il direttore, i giornalisti e la cronista che ne è protagonista.
Il caso Plame iniziò nel luglio del 2003, quando una fuga di notizie fece finire sulla stampa il nome di Valerie Plame, moglie del diplomatico Joseph Wilson ma in realtà agente segreto della Cia. La fuga di notizie, oltre a stroncare la sua carriera nella Cia, costituisce un reato da codice penale. Il suo nome fu probabilmente rivelato per ritorsione nei confronti del marito, da fonti dell’amministrazione Bush. La Miller ha fatto quasi tre mesi di carcere per non aver voluto rivelare chi le fece il nome dell’agente.
In una email inviata ieri ai dipendenti del giornale, il direttore del Nyt, Bill Keller, ammette di non avere colto «segnali d’allarme significativi» sul ruolo della sua giornalista Judith Miller nel Cia-gate. L'avvocato della Miller reagisce all'email di Keller affermando che «non c'erano allarmi da sentire».

Intervistato dal Washington Post, il legale, Bob Bennet, sostiene che è «assolutamente falso» che la giornalista abbia «fuorviato» il suo direttore e il suo giornale: «C'è gente che sta cercando di saldare vecchi conti».
Nella polemica è intervenuta ieri un’altra star del quotidiano, Maureen Dowd, che in un articolo al vetriolo se la prende con la Miller, definendola «Donna di distruzione di massa» e «Signorina combina-guai».

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