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Newcastle si ribella: la bandiera europea sventola sull'ateneo

Newcastle si ribella: la bandiera europea sventola sull'ateneo

Newcastle

Senza giri di parole, la Newcastle University ha preso una posizione definita. Contro la Brexit, con un gesto significativo. Lo scorso 29 marzo, giorno in cui era prevista inizialmente l'uscita dall'Ue, l'ateneo del Nordest inglese ha innalzato la bandiera dell'Unione Europea sul tetto del proprio edificio. L'ha fatta sventolare con orgoglio per tutta la giornata, accomunando i desideri di ogni università britannica e dell'intero mondo accademico, angosciato dai foschi scenari della Brexit. La foto dell'iniziativa ha subito fatto il giro dei social network, la stessa Newcastle University su Twitter ha spiegato che «è un modo per riconoscere e ringraziare l'Ue, centinaia di studenti europei e tutte le persone dello staff per il contributo all'istituto e alla città stessa». L'iconica bandiera blu con le 12 stelle dorate ha fatto capolino sull'Armstrong Building, l'edificio più rappresentativo dell'università, costruito a fine Ottocento e dotato della stupenda King's Hall, l'aula destinata agli eventi più prestigiosi e dove nel novembre del 1967 Martin Luther King ricevette la laurea honoris causa. Soltanto cinque mesi prima dell'assassinio consumatosi a Memphis il 4 aprile 1968. Ovviamente la location e soprattutto il giorno non sono stati casuali, la provocazione dell'ateneo soffia sul vento del mondo globalizzato, fatto di scambi culturali e programmi Erasmus, di studenti che arrivano da ogni parte d'Europa e del mondo e che rappresentano un bacino florido per delle realtà ormai incapaci di vivere solo d'industrie e cantieri navali come un tempo. La Newcastle University conta 28mila studenti, ma in città ci sono anche la Northumbria University (27 mila studenti) e il Newcastle College con altri 16 mila ragazzi, senza contare tutte le scuole di lingua inglese che attraggono migliaia di giovani, molti dei quali si fermano poi a studiare nelle facoltà d'Oltremanica.

La Brexit rischia di trasformarsi in deterrente, metterebbe a repentaglio tutto l'apparato della higher education in Gran Bretagna. Quel sistema fatto di convenzioni, fondi, libera circolazione e partnership con il mercato comunitario, fermo restando che dall'autunno 2020 potrebbe scomparire anche l'equiparazione tra studenti britannici ed europei, legata al pagamento delle rette e all'ottenimento dei prestiti agevolati. Chris Day, vice rettore della Newcastle University, ha lanciato l'allarme: «Col Regno Unito fuori dall'Ue, molti studenti preferiranno andare in Olanda o in Germania. Sarà una gara di sopravvivenza e gli atenei meno blasonati rischiano di soccombere. Per non parlare della ricerca: le università britanniche prendono parte al 15% delle pubblicazioni scientifiche, sono all'avanguardia e ogni anno incassano quasi un miliardo e mezzo dall'Ue per continuare a lavorare in modo così proficuo». Come altri settori, il mondo universitario trattiene il fiato dal giugno 2016, quando oltre 17 milioni di britannici votarono per il Leave: per nessun partito e in nessun altro referendum si era mai registrato un consenso così alto nel Regno Unito, eppure ancora non c'è una soluzione.

Il neo leader conservatore e primo ministro britannico, Boris Johnson, ha promesso che la Brexit arriverà il 31 ottobre, con o senza accordo. «Do or die», vittoria o morte, nonostante l'economia navighi nell'incertezza, il suo stesso partito sia spaccato sul No Deal e le questioni nordirlandesi e scozzesi restino tutte da risolvere. Per non parlare delle conseguenze catastrofiche di un'uscita senza accordo.

Se ne discute da tre anni, il biondo Boris promette di sistemare tutto in tre mesi. GCol

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