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Nfl, sfida «socialista» da 30 miliardi

Anche il football Usa ha un nuovo presidente della Lega, ma rispetto al nostro calcio è un altro mondo: contratti tv faraonici e collettivi, eguaglianza tra club per il bene comune e alternanza di «scudetti»

Roberto Gotta

Nelle stesse ore in cui la Lega Calcio proiettava il suo futuro indietro di vent’anni con l’elezione di Antonio Matarrese, la lega sportiva nazionale più potente del mondo, la Nfl, al futuro guardava davvero, decorandolo con una pennellata di continuità. La National Football League è l’ente che gestisce e organizza il campionato professionistico di football americano e, anche se l’apparenza può far sembrare il contrario, è decisamente più florida e influente della Nba e della Major League Baseball. È una vera e propria istituzione nazionale, depositaria delle sorti del campionato di gran lunga più seguito d’America. Qualche mese fa Paul Tagliabue, commissioner della Nfl, ovvero presidente esecutivo e figura più potente di tutto lo sport americano, aveva annunciato le dimissioni dopo 17 anni in sella, e da qualche settimana è noto il nome del successore: Roger Goodell, 47 anni, che nella lega era entrato nel 1982 come stagista nell’ufficio stampa (consegnava gli accrediti) dopo aver ricevuto un no dopo l’altro dalle squadre a cui aveva chiesto un compito analogo ed aveva via via ricoperto incarichi sempre più rilevanti, fino a diventare vicepresidente esecutivo e responsabile operativo, insomma l’uomo di macchina a supporto di Tagliabue. Il compito di Goodell è difficile proprio, per paradosso, per l’immensa potenza e ricchezza raggiunte dalla Nfl sotto il suo precedessore: l’ultimo contratto televisivo siglato tra la lega e i network americani frutterà fino al 2011 la cifra pazzesca di 10 miliardi di dollari, più dei diritti di Nba, baseball e delle prossime due Olimpiadi messi assieme, con la novità di alcune partite trasmesse dal canale ufficiale della lega, l’Nfl Network. Nel complesso, merchandising compreso, il giro d’affari sarà di 30 miliardi nei prossimi 5 anni. Come migliorare quel che sembra già quasi perfetto? Oltre a quello della lotta contro il doping, intensificata negli ultimi anni, un tema cruciale è quello degli equilibri tra le squadre all’interno della Nfl, fin qui rispettati quasi alla perfezione: la fortuna della lega è infatti stata data dall’applicazione ferrea del principio che dovrebbe ispirare qualsiasi lega professionistica decente, quello dell’eguaglianza, ovvero rinunce da parte di ogni squadra perché prevalga il bene collettivo, ma questa sorta di socialismo tra multimilionari, che permette ogni anno di vedere squadre nuove al vertice (sei diversi campioni negli ultimi otto anni) e dare sempre una speranza ai tifosi, che non per nulla rispondono con folle da record negli stadi, è stato minato di recente dalle spinte centrifughe di alcuni proprietari, quelli più facoltosi ed intraprendenti, gente come Jerry Jones di Dallas e Dan Snyder di Washington, che si ritengono frenati nelle loro possibilità di crescita dalla ripartizione pressoché uguale delle entrate tra squadre come le loro, espressioni di grandi città, e quelle come i Packers, figli amatissimi di Green Bay, piccolo centro del Wisconsin che della storia del football è parte integrante (tre Super Bowl vinti), ma ha un peso economico proporzionalmente microscopico, insomma il Chievo della situazione. Il timore è che Goodell ceda alla tentazione di alcuni dei proprietari interessati più al dollaro, magari aumentando la propria quota di diritti televisivi (già sentita?) che alla prosperità della lega.

Tentazione potenzialmente catastrofica che chi conosce Goodell esclude, ma, con Miami e Pittsburgh che giovedì 7 daranno il kickoff alla nuova stagione, non resta che stare a vedere.

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