Nick Cave, ex maledetto grande poeta e rocker

da Milano

Reprobo redento o cinquantenne che con la maturità ha messo in fuga l’angelo condannato al marciume nascosto dentro di lui? Domanda retorica, la cosa importante è che Nick Cave è ancora il profeta del rock che fa rima con poesia. Meno maledetto di un tempo, meno incline ad essere il Re Inchiostro che odia il suo putrido guscio, intellettuale di un sound bifronte (com’è tutta la sua vita) dannato e liberatorio, poetico e carnale, cantore del bene che non vive senza il male e della luce che non esiste senza tenebre. Uscito illeso da overdose, bevute e risse da schiantare un santo, liberatosi dal Diavolo e folgorato da Gesù (o meglio dal Vangelo di San Marco), Cave con i suoi Bad Seeds ha aperto mercoledì all’Alcatraz di Milano il suo tour italiano (stasera è a Sesto Fiorentino, domani a Spello, Perugia e domenica a Roma)con due ore e mezzo di tonante concerto e il pubblico delle grandi occasioni.
Nessuna concessione allo spettacolo, tutto buttato nella musica ora ipnotica, ora schizofrenica, ora cacofonica ora cupamente e meravigliosamente melodica, ora bluesata con originali recitativi sputati da quella voce baritonale potente e dal fraseggio scavato.

Istinto e ragione, suoni che s’inseguono come in una moderna fuga bachiana e una scaletta che alterna i pezzi del nuovo album Dig, Lazarus, Dig (crudi e violentissimi rispetto all’album) e grandi pagine del passato che spaziano da Love Letter a Lyre of Morpheus a From Her to Eternity passando per Hard On For Love. Un grande show dove il rock al tempo stesso semplice ed elaborato nutre ora l’anima luciferina di Cave ora il suo canto salvifico.

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