Nick Cave, il «re inchiostro» è tornato

È il «re inchiostro», il più eversivo dei rocker dall’anima a due facce, ora luciferina ora ruvidamente romantica. Nick Cave, «l’angelo condannato al marciume» come l’avrebbe definito il suo amato García Márquez, arriva stasera all’Alcatraz accompagnato dal suo ultimo cd Dig, Lazarus, Dig. Aprirà così la tournée italiana - che lo porterà tra l’altro a «Rockin’ Umbria» - presentando ai fan la sua personalissima versione del rock. Un rock, naturalmente, bifronte, che sposa tutto e il contrario di tutto. Del resto la vita e l’arte di Cave sono segnate da simboli e strani incroci. Nato cinquant’anni fa in Australia, a qualche centinaio di chilometri da Melbourne, fu influenzato dalla figura di rapinatori e assassini come Ned Kelly e Carl Panzram. Soprattutto dalla frase che quest’ultimo disse al giudice quando fu beccato dopo venti omicidi: «Io ho fatto il mio dovere, ora voi fate il vostro».
Così ha sempre amato gli eccessi e tentato di unire il sacro e il profano, il bene e il male, il santo e il peccatore. Cave ha provato di tutto, la droga pesante e i furti per procurarla, ha fatto lo sguattero, ha animato i festini più trucidi e cruenti del sottobosco di Melbourne, è stato folgorato dal vangelo di Marco e dalla lettura di Becket, Rimbaud, Artaud, Dylan. A 16 anni si butto nella musica, assolutamente negato con una band di ragazzini incapaci chiamati Boys Next Door. Poi «Re inchiostro» (un nome simbolo della sua «maledizione», del colore del suo spirito e dei suoi testi malsani e al tempo stesso benedetti, visionari e squinternati), parte alla conquista del mondo rock londinese alla guida dei Birthday Party (nome tratto da Dostoevskij). Rock, punk, ballata macabra, blues, il tutto figlio della sua genialità e «del disgusto che prova per se stesso». Gravita ai margini del mercato ma è oggetto di culto, finché l’album Prayers On Fire lo porta nell’empireo degli eletti dove, secondo alcuni «il suo fulgore visionario e il lirismo vorace» ne fanno un poeta secondo solo a Bob Dylan.
Oggi più che un anticristo è un signore un po’ strano che, insieme ai fedeli Bad Seeds (stavolta il nome è tratto dalla Bibbia, i Birthday Party li ha sciolti nel 1983) non ha smussato la sua forza espressiva (non dimentichiamo nel 2004 il capolavoro in due cd Abattoir Blues-The Lyre of Orpheus, e precedentemente, la svolta morbida con tanto di archi di No More Shall We Part), né la sua cupa voce lugubremente baritonale. È un artista che non si tira indietro se pensiamo ad album degli anni Novanta come The Good Son e il sofferto The Boatman’s Call, più alcune colonne sonore (ha lavorato anche con Wim Wenders), romanzi, raccolte di poesie.
I suoi concerti non sono più agghiaccianti come un tempo (niente volto insanguinato, tamburi sfondati, insulti e atti vandalici e violenti) ma la carica sensuale e l’energia sono quelle di un tempo.

Anzi, nel sapiente mix di nuovi brani e di classici del suo repertorio, in omaggio alla sua «duplicità», sposerà la brutalità e l’istinto del rock con il suo personalissimo cotè intellettuale e un po’ snob, che trasformano lo show in uno spettacolo ancora più intrigante.

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