Noi, inquilini abusivi: ecco come si entra in un alloggio Aler

L'inchiesta. Contatto, trattativa e incontro con "l’affittacamere": "Mi dai caparra e 500 euro al mese e ti do le chiavi". Tutto inizia dieci giorni fa con un numero di cellulare. La proposta: la casa è in via Barilli, ora ci stanno dei magrebini

Noi, inquilini abusivi: ecco come si entra in un alloggio Aler

Cercasi alloggio popolare. Zona Gratosoglio, due locali. Possibilmente libero da fine mese. Bastano tre telefonate e un appuntamento per trovare una sistemazione in uno degli appartamenti di proprietà dell’Aler. Tre telefonate e mezz’ora di un lunedì pomeriggio trascorsi con la signora M. per chiudere l’affare e assicurarsi in una decina di giorni un mazzo di chiavi che abitualmente si ottiene seguendo determinati criteri di assegnazione. Giusto il tempo di controllare che i precedenti «inquilini» se ne siano andati e di mettere in ordine la casa. In cambio, la promessa di versare a lei, titolare del contratto di locazione e già denunciata dall’azienda di viale Romagna per subaffitto, l’intera somma delle rate mensili. In nero, ovviamente. «Saranno cinquecento euro, più o meno. Ma sa quanto spendo io per quella casa? La pago 230 euro e rotti. Di alloggi purtroppo non se ne trovano tanti. Se le do il mio, per lei è una bella fortuna». Parole sante.
Tutto comincia dieci giorni fa, con una chiamata al cellulare della signora M. Sono una ragazza di trent’anni, sto cercando una casa dalle parti di via Dei Missaglia. Con il nuovo lavoro, fare tutti i giorni da San Donato a Milano sta diventando faticoso e poi spero che mi possa raggiungere anche il mio compagno. Poche informazioni, chiare, quanto basta perché la mia interlocutrice dall’altro capo del telefono capisca che sto facendo sul serio. Non chiede nemmeno il mio nome, le importa solo sapere chi mi ha dato il suo riferimento. «Purtroppo anch’io sono nelle sue stesse condizioni. Ma mi dica, lei di cosa ha bisogno: vuole stare presso una famiglia o desidera una casa tutta sua?». Una casa tutta mia, naturalmente. Le ripeto che vorrei andare a vivere con il mio fidanzato e preciso che la soluzione migliore sarebbe un alloggio popolare. Insomma, l’importante è trovare una sistemazione.

«Io ne ho in mano proprio una, dell’Aler sì, che hanno dato a me. Due locali, un bellissimo bagno con doccia. Mi viene libera a fine mese. Lì sarebbe una bella fortuna per lei, signorina. Io vorrei una persona fidata, italiana. Mica come gli altri che ci ho messo dentro, che mi hanno fatto casino». Già, perché qualche tempo fa aveva subaffittato il suo appartamento in via Barrili ad una coppia di marocchini che, dopo essere stati sgomberati dai tutor antiabusivi dell’Aler, hanno dichiarato di aver ricevuto alloggio e chiavi dalla signora M. al prezzo di 4 mila euro e 235 euro di affitto mensili, con la promessa di un futuro contratto. «Certo che lo deve dare a me l’affitto. Signorina, glielo ripeto: io sono una persona onesta, corretta e precisa. Sempre pronta ad aiutare chi ha bisogno, le ragazze soprattutto. Non faccio niente per interesse, non sono mica una venale. Ho anche un amico che può aiutarla. Stia tranquilla e vedrà che la sistemiamo. Lei però si faccia conoscere». La prendo in parola. Sono le 18.30 di lunedì pomeriggio quando il signor D. viene a prenderci all’angolo di via Bugatti, zona Gratosoglio, per portarci dalla signora M. Nel tragitto ci spiega che questa non è la casa di cui si parlava al telefono. Ma che se avessi avuto bisogno di una camera urgentemente avrei potuto sistemarmi anche lì da loro, in una singola, a pagamento chiaramente. Uno sguardo a me e al mio fidanzato e la signora M. capisce che quello che cerchiamo è altro, vogliamo il suo appartamento per intenderci. «Se non avete fretta, a fine mese ve lo trovo. Vedrà quanto le piacerà - ci racconta seduta sul divano della sala -. C’è una camera da letto “intima”, la cucina, il bagno appena rifatto. Guardi glielo lascio anche arredato. Sta proprio qui vicino, in via Barrili. E poi ha tutto signorina lì intorno: c’è il mercato, il metrò, il tram. È una bella zona». Perché non è vero che tutte le case popolari sono brutte. Dipende, la sua per esempio è stata appena ristrutturata. «Mica si trovano con tanta facilità gli alloggi e anche quelli popolari costano». Ci spiega che ora è successo un patatrac con quell’appartamento: tutta colpa degli stranieri che ci ha messo dentro. «Se la lasci libera te la occupano», dice come per giustificarsi. Fa un sospiro e poi comincia a raccontare. Settantatre anni, di Salerno, la signora M. sarebbe anche stufa di fare questa vita e non vede l’ora di tornare nella sua terra. Ma prima forse è meglio fare ancora qualche affare. Ci squadra da capo a piedi per essere sicura di parlare con persone fidate. «Signorina se lei non fa la furba, io la casa gliela trovo», avverte. Poi si aggiusta la tuta nera da ginnastica, spinge gli occhiali sul naso e iniziamo la trattativa. Che si basa su un presupposto fondamentale e imprescindibile: «Ci deve essere una convenienza per me e per voi» chiarisce la signora. Ha ragione e proprio per questo le facciamo capire che siamo disposti anche a pagare qualcosa di più. In due possiamo arrivare a 500 o 600 euro. Guarda il suo «compare» e poi ci fa un cenno della mano, come a farci intendere di lasciar perdere, che di soldi ne avremmo discusso a quattrocchi, al momento giusto. Davanti a lui non è il caso di affrontare certi argomenti.

«Il contratto non lo può intestare a voi, altrimenti sarebbe frode allo Stato. Lei fa un piacere a te e tu lo fai a lei. Funziona così», precisa il signor D. «Io non voglio approfittarmi dei giovani, io sono buona. Li voglio solo aiutare. Signorina, ha capito?». Capito.  

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