«Noi come nel film: in fuga dal carcere-lager della Thailandia»

BresciaAccusati di un tentato furto, arrestati, scarcerati dietro cauzione, una volta liberi sono fuggiti dalla Thailandia in auto in Cambogia e poi in aereo sono tornati in Italia. L’incubo, per Sebastiano Girelli e Noris Rossi, bresciani, si è dissolto ieri, quando sono atterrati a Malpensa. Per fortuna non hanno dovuto uccidere la guardia penitenziaria, come accade nel celeberrimo «Fuga di Mezzanotte», per tornare in Italia. Ma Sebastiano Girelli e Noris Rossi, 21 giorni filati nelle prigioni thailandesi, se la sono vista brutta.
La passione per l’Asia, in particolare per l’India, è il punto di partenza per una vicenda il cui lieto fine, a breve termine, non era assolutamente scontato. Sebastiano «Sebi» Girelli abita a Bonpensiero, frazione di Villachiara; l’amico Noris Rosi a Quinzano d’Oglio. Bassa bresciana e la voglia di mettersela alle spalle, talvolta può venire. I due amici hanno una grande passione per l’India. Viaggi di diversi mesi, volta per volta, ma quest’anno con una novità: il visto da rinnovare in Thailandia per non dover tornare in Italia.
È proprio in India, però, che i due subiscono, mentre viaggiano in treno il furto di soldi, telefoni, videocamera e chitarra. Hanno a loro disposizione solo il biglietto per la Thailandia e lo usano. Lì, squattrinati, attendono il bonifico liberatore e passano alcune settimane. Quando arriva il denaro si presentano in banca, ma a quanto pare finiscono nel mirino di chi tiene d’occhio i turisti, e non per il loro bene. È una donna che li vede ritirare il denaro e poco dopo si presenta davanti a loro con un poliziotto. «Hanno cercato di rubarmi il telefono cellulare», racconta all’agente.
Inutile ogni tentativo di difesa, da parte dei due bresciani.
«Ci hanno chiesto - raccontavano ieri pomeriggio a Villachiara - un sacco di soldi per non denunciarci, ma noi eravamo convinti delle nostre ragioni e non abbiamo voluto pagare». Una convinzione che si è trasformata in un trampolino verso l’arresto. Prima la prigione locale, poi quella statale, a Ayutthaya. «Stavamo - continua - incatenati, in una stanza di 50 metri quadrati ed eravamo in 75. Lì dormivamo, con la sveglia alle 4 del mattino per la preghiera buddhista. Poi ci facevano cantare l’inno nazionale thailandese. Abbiamo imparato le parole come i bambini imparano le canzoni dell’Antoniano».
La prima settimana per i due turisti è stata la più dura: «Non avevamo notizie dall’esterno, ci dicevano che saremmo usciti dopo tre anni». Poi, dopo una ventina di giorni, la cauzione di 4.000 euro fa il suo dovere e Sebi e Noris escono di prigione. Ma ogni 12 giorni, in attesa del processo, hanno l’obbligo di firma. Trovano un avvocato, raccontano tutto e gli chiedono quale sarà la sua linea difensiva. «Dite dal profondo del cuore che siete innocenti» è la riposta che spalanca le loro menti su una sola prospettiva: la fuga.
Li aiuta un giornalista tedesco che si occupa di questi casi.
Attraversano il confine, in un punto noto soprattutto ai thailandesi che vanno in Cambogia per giocare al casinò, pratica vietata nella loro nazione. Poi il viaggio, in aereo, in Malesia. «È stato a quel punto che siamo stati certi d’avercela fatta», confermano. Dall’Asia a Vienna, e quindi a Londra, prima dell’arrivo a Malpensa. «Torneremo in India - confidano a pochi metri dalla bandiera italiana che è piantata davanti all’abitazione di Sebi - ma non in Thailandia.

Lì siamo sulla «black list».
Ma adesso è tempo di dimenticare le catene della prigione thailandese, Pasqua è alle porte e pensare alla resurrezione a Quinzano d’Oglio e Villachiara, in due famiglie, è molto più semplice.

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