Noi, schiavi del catenaccio

Ormai è diventato un chiodo fisso: andare in giro per la città chiedendosi se quelle due ruote che vedi attaccate a qualche palo siano le tue, le stesse che sono sparite dal cortile di casa qualche giorno prima quando meno te lo aspettavi. Magari con un telaio ridipinto che dia l’effetto del «nuovo di zecca». Per i proprietari di biciclette, per gli habituée che come me dicono «no» al motorino e due volte «no» all’auto in città, il furto della bici è diventato quasi un’ossessione. Tre volte in un anno. Tre furti in appena dodici mesi. Questi numeri, forse, aiutano a spiegare il senso di un tormentone che ti accompagna ogni volta che vai in giro per Milano e ti fermi per una breve o lunga sosta che sia. Cerchi una rastrelliera, ma in città scarseggiano, allora ti guardi intorno a caccia di un palo, il più sicuro possibile, dopo esserti ovviamente ben curato di aver comprato una catena apparentemente inviolabile. Ma di inviolabile, per i ladri di biciclette in città, sembra non esserci proprio nulla. L’ultima volta, ieri sera. Me l’hanno fatta sotto gli occhi. Un pomeriggio in redazione, in pieno centro, è bastato a garantire un nuovo colpo e un nuovo business a qualche piccolo criminale.
«Vai in Piazza Cantore - mi dicono -. Ne troverai di ogni tipo e a prezzi stracciati». Ma a quel mercato io dico «no». E non sembri la crociata snob di chi ai mercatini dell’usato non vuole proprio avvicinarsi. Perché quel mercato lì, si sa, è proprio il luogo che alimenta il commercio delle bici rubate. È lì che, anche per trenta euro al massimo, riesci a portarti a casa una bella due ruote, che abbia anche l’aria di una di quelle che vedi in bella mostra nei centri commerciali.


Insomma, io a quel giro non cedo. Altrimenti loro, un po’ come nel film di De Sica, l’avranno vinta. E allora rimpiango il mio paesino ridente a pochi chilometri da Palermo. Lì la bici potevi lasciarla incustodita anche per giorni...

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