«Noi soldati musulmani contro Hezbollah»

Un battaglione israeliano composto da beduini e circassi combatte senza sosta dall’inizio della guerra in Libano

Gian Micalessin

da Shomera (confine israeliano libanese)

Li chiamano i guardiani del confine. Sono quelli della 300ª Brigata. «Quelli - racconta il 41enne tenente colonnello Ishai Efroni, vicecomandante dell’unità - che non hanno mai abbandonato la frontiera. Dal ritiro del 2000 controlliamo metà delle linee dal Mediterraneo al Golan: sono ottanta chilometri, ma vi succede di tutto. I due soldati sono stati rapiti a due chilometri da qui, Maroun Ras è di fronte a noi, da due giorni combattiamo ad Aait el Shaab». Ishai Efroni poteva anche fare a meno di questa nuova guerra. Aveva appeso la divisa a un chiodo, abbandonato Israele, il Libano e l'esercito per vagabondare dall'Europa all'estremo Oriente. Poi è tornato, ha rifirmato, e s'è ritrovato al punto di partenza. Il boato alternato di due mortai puntati sulle colline infiammate dalle katiushe spezza di tanto in tanto il racconto di Ishai. Ieri tre suoi soldati hanno perso la vita ad Ait el Shaab. È la terza grande battaglia in questo settore nord occidentale dopo Beint Jbeil e Maroun el Ras.
Ishai alza gli occhi al cielo. «Combattere non è come andare a passeggio. Hezbollah è un vero esercito, ma combatte con tattiche da guerriglia. Per combatterli, stanarli, distruggere bunker e missili dobbiamo aprirci la strada lungo sentieri minati, attaccarli mentre sono al riparo di fortificazioni o case abitate da civili. Nei due chilometri da qui ad Aait El Shaab abbiamo trovato venti trappole esplosive: la più grossa era uno scaldabagno riempito con 150 chili di esplosivo. Bastava a far fuori un carro armato e tutto l'equipaggio». Uno dei vanti della 300ª è il suo battaglione di scout e battitori di pista. «Sono beduini e circassi, musulmani che combattono dalla nostra parte - racconta il tenente colonnello - sono insuperabili nell'aprire la strada verso il nemico o seguirne le tracce». Usano i lama per il trasporto di materiale come gli alpini usavano i muli.
Il maresciallo Yussuf, volto di rughe e pietra, baffi e capelli di carbone, sguardo da assassino generoso, è l'apripista preferito di Ishai. Siede abbracciato al suo Ar 15, gli occhi perduti sulla parete. Venticinque dei suoi 45 anni li ha vissuti nell'esercito, 17 a combattere in Libano. Se gli chiedi che cosa prova a combattere contro Hassan Nasrallah, contro il nuovo Saladino delle nazioni musulmane, Yussuf manco si scompone. «Niente. Per me non è un eroe, i suoi missili hanno ucciso una ragazza di 14 anni del mio villaggio, per me e per tanti musulmani come me è solo un assassino». Se gli chiedi cosa lo sorprende in questa nuova guerra gli occhi s'accendono di stupore. «È incredibile come mimetizzano bunker e rifugi, è incredibile il materiale che usano. Nell'altra guerra non trovavo nulla di simile. A Maroun Ras ho riconosciuto le entrate dei loro bunker solo quando ci sono arrivato sopra. Sono nascoste da vegetazione e terreno fatti di plastica e lattice, ma identici a quelli veri. Sposti un sasso e ti accorgi che è di plastica, come i rami dell'albero, come il tappeto di lattice sulla botola dei bunker». Anche quei rifugi sotterranei sono per Youssuf un mondo nuovo. «Mai viste caverne simili, l'entrata è di un metro, poi scendi e trovi gallerie profonde otto metri collegate ad altri bunker».
E anche in superficie, a sentir Youssuf, non c'è da scherzare. «Una volta non si muovevano così bene, sono molto più bravi a combattere e a sparare, adesso per trovare la pista giusta e arrivargli vicino devo fare molta attenzione». Per Ishai il cruccio maggiore sono le mani legate. «Aait El Shaab lo potevamo spianare con i carri armati e passare avanti, ma dentro ci sono ancora civili. Ci sono anziani e donne, gente senza più nulla da perdere, per non massacrarli dobbiamo andare a prenderci i guerriglieri a uno a uno, anche se lo scrupolo ci costa morti e feriti». Ma a dar retta a questo guardiano del confine la resistenza di Hezbollah è già calata d'intensità.

«Non badate ai missili, quelli ci vuol niente a lanciarli, guardate ai loro effettivi, alla loro capacità di combattimento: in ventidue giorni di guerra ne abbiamo uccisi trecento e feriti molti di più, in pratica il venti per cento dei loro effettivi. Molti villaggi di questa zona sono stati già abbandonati. La loro capacità sta diminuendo e per dimostrare di esser ancora vivi concentrano le forze in pochi capisaldi. Il tempo è dalla nostra parte».

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