Un noir cattivo tra cronaca di strada e fantasia

Ci sono un sacco di modi di scrivere un noir. Anche perché il genere, una volta sdoganato dalla brossura, si è trasformato nell’asso pigliatutto della letteratura di consumo. Così, in anni di produzione febbrile, tutto ciò che poteva essere virato al nero è finito nelle pagine. In tanta abbondanza di storie col morto ammazzato è difficile segnalare cose originali. Fa eccezione, fra gli italiani, il bizzarro estro creativo di Edoardo Montolli, che ha esordito con Il boia e ora torna con La ferocia del coniglio (entrambi Hobby & Work).
Che cosa distingue la narrazione di Montolli da quella di molte altre brave o meno brave penne, specializzate in manette e colpi di pistola? Il fatto che, prima di approdare al romanzo, questo scrittore si è consumato le scarpe sui marciapiedi scrivendo un numero incredibile di articoli di «nera» per molti giornali. Capita così che, andando a curiosare tra le pagine dei suoi libri, scritti con una prosa ruspante e aggressiva, si abbia l’impressione di andarsene a spasso con uno di quei duri d’antan che caratterizzavano i romanzi americani di Jim Thomson o David Goodis. La cronaca, quella cattiva che picchia allo stomaco, viene passata al frullatore della fantasia e restituita al lettore a dosi massicce, trasformata in uno sfondo tridimensionale che rende solida e densa la trama. Ne esce una narrazione senza artifici letterari, diretta, dove l’originalità è nell’ordito più che nelle vicende del detective (quello creato da Montolli si chiama Manuel Montero ed è un ex giornalista).
Nel caso de La ferocia del coniglio, ambientato nella periferia milanese, l’indagine si muove sulla falsariga della sparizione, quasi contemporanea di un bambino, Alfredo Carruba, e dell’ex moglie del commissario De Nigris, il quale indaga proprio su quel delitto. Tra i due eventi potrebbe non esserci alcun collegamento oppure potrebbero essercene infiniti. Così il commissario affida la ricerca della moglie al suo vecchio amico Manuel Montero: uno che veste come Fred Buscaglione, ha il portafogli sempre in rosso e beve più caffè dell’omino Bialetti. Uno che però in mezzo a un milione di difetti ha un fiuto eccezionale e si infila a testa bassa in un groviglio gordiano che annoda casualità, ferocia etologica e snuff movie.

Del resto La ferocia del coniglio non va succhiato a tutta velocità per leggere l’ultima riga. Tutti i thriller finiscono come devono finire. È più divertente chiedersi, pagina per pagina, dove sia il confine tra il vero (camuffato), il verosimile e la fantasia spinta. La risposta non è facile.

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