Il «noise masking»

L a regina del pop, Madonna, è solo l'ultima di una nutrita serie di star che, nonostante il grande successo di pubblico, hanno minacciato di non tornare più a suonare a Milano: troppe le polemiche sui decibel, troppe le lamentele dei residenti e nessuna intenzione di esibirsi a porte socchiuse e in punta di piedi, seguendo i ferrei dettami del limite orario. E non si tratta solo di musica: nemmeno un'icona intramontabile della milanesità, il tram, si è salvata dagli strali degli infuriati abitanti di Porta Genova, che hanno puntato il dito sul continuo viavai di mezzi vecchi e sferraglianti. Nei sacrari della movida, poi, non ne parliamo: Porta Ticinese e Corso Como sono da anni sul banco degli imputati. Rumori, caldo e insonnia sono il cocktail micidiale dell'estate milanese. Ma stavolta la soluzione sembra essere dietro l'angolo: a mettere d'accordo sonni tranquilli e notti brave sarà la cosiddetta «architettura sonora». La promessa è rivoluzionaria: rendere straordinario l'ordinario, rimanendo leggeri come soffi di vento. In questo slogan c'è tutta l'anima dell'architettura sonora, nuova frontiera della progettazione dello spazio urbano. I milanesi ne hanno avuto un assaggio poche settimane fa, intorno al laghetto del parco Sempione, grazie al «Giardino sonoro» ideato dal sound designer Lorenzo Brusci e dal team di Architettura Sonora: diffusori non convenzionali perfettamente integrati nell'ambiente emettevano suoni e musiche site specific, ossia pensati appositamente per un preciso contesto e per una fruizione ambientale. Per un intero fine settimana hanno incantato i nostri concittadini in cerca di un po' di refrigerio nel verde del Castello, ma le applicazioni dell'architettura sonora in un contesto urbano sono solo all'inizio. «Il mio lavoro di sound design - riflette Brusci, che divide il suo tempo fra gli studi di Berlino e Firenze ed è spesso in giro per il mondo a studiare installazioni foniche che cambieranno il volto di interi quartieri - è centrato sulla relazione virtuosa fra i due principali piani della progettazione sonora: la definizione spaziale del suono e l'articolazione dei suoni nello spazio, inteso anche e soprattutto come spazio architettonico». Obiettivo: creare in città paesaggi multisensoriali in grado di trasformare la nostra percezione dell'ambiente urbano. Una musica, insomma, che abita lo spazio e non si impone su di esso, ma lo interpreta e ce lo restituisce diverso grazie a suoni disegnati ad hoc diffusi da altoparlanti altamente customizzati progettati per eccitare le strutture architettoniche e, precisa Brusci, «ricontestualizzare la complessità». Proprio qui sta la differenza con la precedente «ambient music», sperimentata fin dagli anni Settanta da autori del calibro di Brian Eno, che tracciò il solco con la sua «Music for airports» per lo scalo newyorkese di La Guardia. Brusci, che in gennaio ha fondato con Lorenzo Coppini di B&C Speakers il team Architettura Sonora (architetturasonora.com), prende le distanze da quel tipo di approccio: «Siamo di fronte ad un superamento metodologico: la musica, com'è stata prodotta e composta fino ad oggi, non ha una vera vocazione ambientale per la natura stessa del suo processo produttivo. Non tiene conto ad esempio dei volumi architettonici, dei tempi di permanenza nello spazio di esperienza, della diversa attitudine all'ascolto nei vari contesti, dell'esigenza che il suono possa esser percepito come dinamico quanto lo è il flusso delle attenzioni ambientali nello spazio abitato».
E come non pensare alle polemiche che ogni estate si infiammano sui rumori della movida, fastidiosi per i residenti ma inevitabili in una città che deve vivere e pulsare? Architettura sonora è anche noise masking, ossia «copertura», ma sarebbe meglio dire reinterpretazione, dei rumori «inquinanti». Un'applicazione che a Milano sarebbe la benvenuta: «Il noise masking è un aspetto importante della nostra attività sul fronte dell'inquinamento acustico e mediatico urbano: prendere per mano l'attenzione del passante o del residente e portarla altrove, sostituendo ad un paesaggio inquinato un paesaggio risanato, alternativo, musico-sognante. Aree in cui, grazie al suono, la realtà urbana viene trasfigurata, assume un altro volto, piacevole e stimolante anziché urtante e fastidioso». Si tratta dunque di trasfigurare l'esperienza sonora anziché soffocare la fonte del rumore. Ci si sta pensando anche a Bruxelles: «La Ue è orientata ad applicare regolamenti restrittivi sul fronte dell'inquinamento acustico ma già si guarda con interesse alla via del cambiamento esperienziale della percezione del rumore. Abbiamo già prodotto studi per la fattibilità di aree multisensoriali per Greater London Authority e i contatti con il governo inglese proseguono».

Si può quindi pensare a interventi su Milano? E dove? «In coordinamento con l'ente pubblico si riesce a risolvere agevolmente ogni tipo di problema infrastrutturale; direi che per Milano i luoghi possibili sono innumerevoli: stiamo aspettando suggerimenti dagli uffici competenti».

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