Cultura e Spettacoli

Nolan: "Ho raccontato Dunkerque in ricordo di mio nonno"

Il regista da anni pensava al film sull'eroico salvataggio dei soldati inglesi intrappolati dai tedeschi in Francia

Nolan: "Ho raccontato Dunkerque in ricordo di mio nonno"

Ascolta ora: "Nolan: "Ho raccontato Dunkerque in ricordo di mio nonno""

Nolan: "Ho raccontato Dunkerque in ricordo di mio nonno"

00:00 / 00:00
100 %

da Los Angeles

Nel maggio del 1940 Hitler sembra invincibile. Un passo dopo l'altro si sta letteralmente mangiando l'Europa. La guerra, iniziata a settembre dell'anno prima con l'invasione della Polonia, sembrava segnare solo punti a suo favore. In aprile aveva conquistato Danimarca e Norvegia e ora rivolgeva le sue mire sul Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo per poi puntare a un bottino più importante: la Francia.

Arriva a Dunkerque, porto del Nord della Francia, vicinissimo al confine con il Belgio. Nello spazio di poche ore 340 mila soldati inglesi, venuti a combattere accanto alle forze alleate, rimangono intrappolati. A sud c'è il nemico. A nord la lingua di mare della Manica, 26 miglia di mare che separano i soldati da casa, dalla salvezza.

E qui va in scena il miracolo. L'operazione Dynamo, l'evacuazione più ardita della storia di quella guerra viene organizzata: una flottiglia di migliaia di piccole imbarcazioni, pescherecci e barche da diporto parte dai porti della costa britannica per raggiungere la costa francese e riprendersi i suoi ragazzi.

La storia dell'evacuazione di Dunkerque non era mai stata raccontata al cinema se non in una pellicola del 1958 con John Mills e Richard Attenborough e in un documentario del 2004. A colmare questa lacuna ci ha pensato ora il regista inglese Christopher Nolan con Dunkirk, in uscita il 31 agosto in Italia, che vede la presenza di un cast vario, composto da premi Oscar come Mark Rilance, sex-symbol come Tom Hardy e l'ex front-man degli One Direction Harry Stiles, e perfetti sconosciuti, come il giovanissimo Fionn Whitehead, che interpreta Tommy, il giovane soldato che sarà gli occhi e il cuore del pubblico in questo lungo viaggio verso la salvezza.

Per Christopher Nolan si tratta della prima pellicola che racconta un episodio di storia vera e lui, allontanandosi molto dai suoi precedenti lavori, Memento, Il Cavaliere Oscuro, Inception e Interstellar per citarne qualcuno, lo fa con uno stile asciutto e preciso, quasi documentaristico, che ha portato molti addetti ai lavori a parlare di Oscar in una stagione in cui certe voci di solito tacciono.

Mr. Nolan, come mai ha sentito il bisogno di raccontare questa storia?

«La conoscevo da sempre, sin dai libri di scuola e ne ero affascinato. Negli anni '90 con mia moglie (la produttrice Emma Thomas, ndr) abbiamo compiuto la stessa traversata, a bordo di una piccola imbarcazione da diporto. Fu molto difficoltoso, ci impiegammo 19 ore e allora non ci piovevano bombe addosso. Cosa fecero, nel maggio del 1940 quei coraggiosi pescatori inglesi è davvero incredibile».

E ha voluto raccontare la loro storia.

«Ci pensavo da tempo, era arrivato il momento, aveva anche una valenza personale per me. Mio padre ne era ossessionato. Mio nonno morì in guerra».

Come?

«Era ufficiale di rotta su un bombardiere dell'aeronautica. Sopravvisse a 45 missioni. Di solito dopo 45 missioni ti assegnavano ad altri incarichi, come istruire nuovi piloti, ma lui ne fece una ancora e venne ucciso. Fu seppellito in un cimitero militare in Francia. Siamo andati a visitare la sua tomba mentre eravamo in zona per girare il film. E' stato molto toccante. Non l'ho mai conosciuto, aveva poco più di trent'anni quando morì. Erano tutti giovanissimi, molti avevano solo diciotto, diciannove anni».

Per questo ha voluto tanti volti giovani nel film?

«Spesso quando si girano film di guerra, attori più noti e più vecchi vengono usati per interpretare soldati giovanissimi. Io ho voluto che quei ragazzi sul set avessero lo stesso sguardo inesperto dei giovani soldati che affrontarono quella guerra».

Ha voluto girare negli stessi luoghi dove avvennero i fatti.

«Andai a fare sopralluoghi per ricreare quei luoghi, ma quando fui li mi resi conto che non sarebbe stato possibile ricreare quell'atmosfera. Per essere sinceri dovevamo girare a Dunkerque».

Accanto a Dunkerque c'è Calais, uno dei più grandi campi profughi europei.

«La cosa che mi colpisce di più è che non puoi guardare alle immagini di allora, a quei giovani soldati che cercano di salire su quelle piccole imbarcazioni sovraccariche di gente senza pensare a quello che succede oggi nei nostri mari, senza pensare ad altre imbarcazioni cariche di gente che scappa dalla guerra.

Oggi viviamo in un mondo ipertecnologico che ci sembra migliore, ci sembra di aver fatto tanti passi avanti, ma quando vedi le immagini dei rifugiati che cercano di attraversare il Mediterraneo ti rendi conto che no, il mondo non è cambiato molto.

Commenti