Ha accettato l’incarico in un secondo, consapevole dei rischi da correre e dei problemi da risolvere alla svelta. Ecco il primo requisito essenziale con cui Cesare Prandelli, 53 anni, si è presentato alla platea della Nazionale. L’entusiasmo è indispensabile per affrontare le curve a gomito che lo aspettano dietro l’angolo del debutto londinese, utile per conoscere in concreto i suoi orientamenti in materia di candidature gettonate (Cassano, Balotelli, tanto per cambiare). Un ct entusiasta ha il dovere di essere ottimista, come lo fu, con qualche leggerezza di fondo, il suo predecessore prima di volare verso il Sudafrica: serve a contagiare l’ambiente, a ridare smalto al club Italia, a ricaricare le pile di un gruppo che non può essere smantellato come accadde dopo Germania ’74 con Bernardini-Bearzot o dopo Messico ’86 con Azeglio Vicini e la sua under promossa in blocco.
Prandelli è un ct aperto a ogni soluzione che contribuisca a migliorare la cifra tecnica della Nazionale: persino la sua apertura agli oriundi sembra il segno distintivo di una persona molto pratica, non legata agli schemi che sono stati sotterrati in Germania e in Francia, e che resistono in Spagna grazie a un raffinato lavoro sui vivai compiuto dai club, in particolare dal Barcellona che ha fatto dell’identità catalana una bandiera da sventolare in giro per l’Europa. Su questo argomento, meglio sintonizzarsi subito: gli oriundi servono, possono risultare utili, solo se non tolgono il posto a qualche promettente italianuzzo e se, sul piano tecnico, sono indiscutibilmente «meglio» degli azzurri passati per la mani di Lippi.
La disponibilità del neo ct ad aprire le porte di Coverciano ai giovani talenti è forse l’aspetto più clamoroso del programma, asciutto ed essenziale, del nostro nuovo Cesare: a Firenze furono in molti, Pantaleo Corvino tra gli altri, a rimproverargli uno scarso interesse per quella categoria di calciatori messi in rosa dal ds leccese. Dalla Nazionale potrebbe arrivare una sonora smentita alle accuse dei tempi in viola. La persona è per bene, è impastato di buon senso e di esperienze diverse, si è affacciato alla ribalta internazionale della Champions con qualche efficacia: godrà per i primi mesi del sostegno e della simpatia di pubblico e critica.
Ma non saranno sufficienti queste qualità a colmare il deficit venuto fuori da due anni a questa parte, tra Confederation Cup e mondiale 2010. Dovrà il calcio italiano, nel suo complesso, farsi carico di risolvere i problemi: a cominciare dai vivai, rimasti a secco in un paese nel quale campetti di periferia ed oratori, il palcoscenico della nostra infanzia, sono ormai deserti. Vanno cercati altrove i Balotelli e i Cassano. Prandelli dovrà sudare la qualificazione europea (passa il primo del girone, il secondo va al ballottaggio) e sarà un piccolo successo centrare l’obiettivo.
Il resto, tutto il resto, deve arrivare da Abete e dal consiglio federale, dai club di serie A finalmente riuniti in lega autonoma, e dal Parlamento alle prese con la legge sugli stadi.
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