Politica

«Non bastano 5 anni per diventare italiani»

Paolo Bracalini

da Milano

Dai ventiquattro kamikaze di Londra, tutti cittadini britannici, arriva una lezione inquietante per l’Italia. «La cittadinanza può diventare un’arma pericolosa, se concessa in modo indiscriminato», avverte il commissario europeo alla Sicurezza, e vicepresiedente della Commissione Ue, Franco Frattini.
Che effetto le ha fatto sapere che ora i fondamentalisti sono nostri concittadini?
«Purtroppo non è la prima volta che scopriamo quanto può essere drammatica la mancata integrazione di comunità che, al loro interno, includono persone che nutrono l’odio antioccidentale. Mi preoccupa chi parla con superficialità di integrazione senza avere riflettuto sulle condizioni indispensabili per farlo nel modo serio. Altrimenti i rischi sono alti».
La cittadinanza può diventare un’arma in più per i fondamentalisti?
«Non c’è dubbio che questi soggetti diventino estremamente più pericolosi quando sono cittadini dei nosti Paesi, perché non c’è più la possiblità di espulsione. Integrare non può voler dire soltanto dare un documento di identità italiano».
Parlava di condizioni indispensabili per concedere la cittadinanza. Quali?
«Occorre un’opera di controllo per capire se queste persone rispettino e accettino non solo le nostre leggi, ma l’identità e i valori del nostro Paese. Altrimenti rischiamo di aprire le braccia a persone che possono portare dentro casa nostra la violenza».
E come dovrebbe avvenire quest’opera di controllo?
«Con l’aiuto e la collaborazione delle comunità. La consulta islamica, il tavolo di coordinamento con la comunità musulmana in Italia, è un’idea vincente. Solo così si possono individuare i soggetti non disponibili all’integrazione».
I cinque anni proposti dal governo italiano per la cittadinanza sono pochi?
«Mi sembra una proposta imprudente. Sui tempi per diventare cittadini italiani occorre un vasto dibattito parlamentare. È troppo facile dire, come fa la sinistra radicale, che il riconoscimento va dato più o meno a tutti».
Insomma, il governo apre le porte senza pretendere nessuna garanzia in cambio?
«Mi sembra di sì. Affermiamo invece il principio di reciprocità. Noi diamo qualcosa ma in cambio chiediamo. E in fondo non chiediamo molto. Il rispetto della legge e della costituzione, lo stesso che chiediamo ai 57 milioni di cittadini italiani. Ma insisto che ancora più importante dei tempi sono i criteri per la concessione dell’“italianità”».
Un esame di «italianità» per la cittadinanza agli immigrati?
«Io credo che la conoscenza della lingua italiana, delle nostre tradizioni e storia siano condizioni irrinunciabili per potersi integrare. Chi vuole integrarsi deve essere felice di guardare la bandiera italiana e considerarla la sua bandiera».
Il rispetto del tricolore come condizione per essere riconosciuti italiani?
«Mi sembra indispensabile, perché dimostrerebbe una volontà reale di integrarsi, senza rinunciare alle proprie tradizioni. Perché uno dei pilastri della nostra costituzione è proprio la libertà di religione. D’altra parte è quello che avviene negli Stati Uniti».
Vuol dire che il modello di integrazione americano è quello a cui dovrebbe ispirarsi l’Italia?
«Non solo l’Italia ma l’Europa. Quello americano è sicuramente il modello di maggior successo. Si diventa cittadini Usa dopo una trafila lunghissima, esami linguistici approfonditi, e un giuramento sulla bandiera americana. L’Europa invece ha espresso finora modelli perdenti».
Come quello inglese?
«Il modello inglese ha fallito perché privo di verifiche sulla reale disponibilità a integrarsi. Ma guardiamo alla liberalissima Olanda. Ha tragicamente scoperto al suo interno l’odio antioccidentale».
C’è il rischio di kamikaze col nostro passaporto?
«È un rischio a cui dobbiamo rispondere con una politica dell’integrazione consapevole. Finora in Italia non è accaduto nulla perché il nostro Paese non ha seguito il modello di un’accoglienza senza condizioni. E questo ha portato i suoi frutti».
Ma gli immigrati in Italia vogliono davvero diventare cittadini italiani?
«Credo che in alcuni casi lo vogliano davvero. In molti però prevale la spinta del bisogno e della disperazione».
Come risponde l’Europa alle nuove minacce del terrorismo islamico?
«Entro il 20 agosto ci sarà a Bruxelles un vertice straordinario di esperti antiterrorismo, a cui parteciperanno la Commissione europea, la presidenza Ue, Gran Bretagna e Germania.

Il vertice si dedicherà all’elaborazione di misure per un coordinamento ancora più forte sulla sicurezza del traffico aereo e il reclutamento dei giovani terroristi».

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