Economia

«Non c’è un idillio con Marchionne»

da Milano

«Tra il sindacato e Sergio Marchionne non è sbocciato alcun idillio. E siccome tra le parti non esiste un idillio non ci sarà alcuna rottura quando, nelle prossime settimane, cominceremo a litigare sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici che, di riflesso, riguarda gli operai della Fiat. Dovremo infatti ottenere aumenti salariali per persone che guadagnano veramente poco. Ed è logico che la Fiat farà la parte dell’imprenditore: cercherà di darci meno soldi possibile».
È un biglietto da visita chiaro quello che il leader della Uil, Luigi Angeletti, presenterà questa mattina a Torino agli operai che lavorano alle linee di montaggio di Mirafiori: nessun presunto flirt con l’amministratore delegato del Lingotto, dopo la lunga serie di elogi piovuta nei giorni scorsi sul top manager da sindacalisti ed esponenti della sinistra. «Abbiamo solo trovato una persona - spiega Angeletti, che illustrerà agli operai i contenuti dell’intesa siglata da governo e sindacati su welfare e previdenza - che ha messo in luce il vero problema all’origine della crisi di un gruppo che produce auto: bisognava fare buone macchine e tornare a investire nel modo giusto».
Angeletti si presenta oggi a Mirafiori forte del successo ottenuto dalla sua Uilm alla Fiat di Melfi. I lavoratori della fabbrica che sforna la Grande Punto hanno deciso di voltare pagina, dando la fiducia alla rappresentanza interna che fa capo alla Uil.
Segretario, la Uilm si è rafforzata al Sud dove già detiene la maggioranza nelle fabbriche Fiat di Cassino e Pomigliano. C’è stata una nuova spallata alla Fiom-Cgil, visto che a Mirafiori gli operai avevano già scelto la Fim-Cisl e che all’Iveco di Torino è sempre la Uilm il sindacato di riferimento...
«In casa Fiat la Fiom ha perso tanti voti. L’errore è stato quello di presentarsi come sindacato tutto ideologico. Le persone, oltre a sentire che le cose non vanno, chiedono soluzioni».
E la Uil quali soluzioni propone?
«Bisogna ridurre le tasse, aumentare i salari e garantire condizioni di lavoro diverse. Noi cerchiamo di fare accordi con i governi».
Siamo alla vigilia del classico autunno caldo?
«Potrebbe esserlo. Sui salari dei metalmeccanici la discussione sarà sicuramente dura. Il 26 ci sarà il primo sciopero».
Quanto percepisce, in media, un operaio della Fiat?
«Poco più di 1.000 euro al mese e lavora a turno, che è molto faticoso. Chi comincia alle 6 del mattino deve alzarsi anche due ore prima. E quando termina il turno impiega le stesse ore per tornare a casa».
La situazione, a pari condizioni, in Germania...
«Per lo stesso tipo di lavoro la busta paga è quasi doppia. Non crediamo che in Italia si possa di punto in bianco raddoppiare i salari, ma è chiaro che devono crescere a ritmi ben superiori rispetto a quanto avviene con l’inflazione programmata».
In pratica?
«Bisogna arrivare almeno a una maggiorazione del 30% nel giro di poco tempo. È necessario ridurre le tasse sugli aumenti contrattuali».
Alla Volkswagen il sindacato è dentro la stanza dei bottoni. Vi piacerebbe far parte del board della Fiat?
«In molte grandi imprese la vera svolta sarebbe proprio questa: coinvolgere e responsabilizzare i lavoratori. Si otterrebbero benefici in termini di efficienza, competitività e produttività. Ma in Italia su questo tema gli imprenditori non ci sentono proprio».
Luca Cordero di Montezemolo: quanto ha pesato sul rilancio del Lingotto la sua presidenza di Confindustria?
«Ha dato al gruppo un’immagine dinamica e innovativa. Ha infuso ottimismo. Marchionne ha fatto il resto».
Gli Agnelli manterranno a lungo il timone della Fiat?
«Credo che John Elkann voglia seriamente continuare a scommettere sull’auto. Fare soldi nelle auto è difficile, ma si possono fare. Investire nell’industria dell’auto può essere ancora un buon affare. L’exploit del titolo Fiat ne è la dimostrazione».
Pomigliano d’Arco e Termini Imerese sono gli anelli deboli della catena produttiva della Fiat...
«Per Pomigliano il problema è strutturale: più di tanto non fa. A Termini bisogna metterci tanti soldi: la fabbrica è soffocata, non si può ingrandire più di tanto, non c’è indotto. E poi c’è il problema del trasporto, anche alla luce dello stop al ponte sullo Stretto. Penso che i soldi messi a disposizione da Stato e Regione (325 milioni in tutto, ndr) siano un fatto molto importante. Non credo che Marchionne possa tirare troppo la corda».
Da Torino hanno però fatto sapere che 325 milioni non bastano...
«L’azienda deve metterci del suo, ci scommetta anche lei.

I problemi di una normale impresa non devono essere risolti dallo Stato o dalle tasse che i cittadini pagano».

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