Non c’è proprio «Niente da nascondere»

Auteuil e la Binoche protagonisti della pellicola francese

Ferruccio Gattuso

Una sola, violentissima scena, a culmine di una storia fatta di suspense, angoscia claustrofobica e isolamento: il protagonista di Niente da nascondere, il thriller di Michael Haneke in arrivo questa settimana nelle sale milanesi, si trova nelle condizioni di tanti malcapitati “eroi” nei film del maestro Hitchcock. Va da sé che il pubblico soffra con lui, e con lui cerchi di dipanare la matassa del mistero.
Al centro di un imprevedibile meccanismo di suspense - fatto di lentezza e giochi di immagini tra realtà, finzione e voyeurismo - c’è Daniel Auteuil, volto impassibile e comune di terra francese, abbonato felicemente al genere thriller psicologico (basti pensare a L'avversario di Nicole Garcia). Accanto a lui la credibilissima moglie interpretata da Juliette Binoche, attrice favorita da Haneke che la impiegò anche in Storie (“Code inconnu”, 2001).
La tranquilla e agiata esistenza di Georges, intellettuale borghese, e Anne viene insidiata da un misterioso individuo che spedisce al loro indirizzo videocassette nel quale Georges viene spiato. Dietro le quinte, una brutta storia d’infanzia e la coscienza sporca di un bambino che finisce per essere la stessa di un Paese che ha rimosso le ferite d’Algeria.
Un vero e proprio peana collettivo quello della critica internazionale sul film di Michael Haneke, a cominciare da quella di Reel Film Reviews, che affibbia a Niente da nascondere l’identikit del thriller perfetto: «Sorprendentemente ricco di suspense e coinvolgente». L’archivio-bibbia del web cinematografico - Imdb.com - rincara la dose di aggettivi, affermando che «Caché (titolo originale del film di Haneke, ndr) è superbamente confezionato, divertente e in grado di sfidarci».
Il New York Times vede nella storia interpretata dalla coppia Auteuil/Binoche un’analogia con l’ultimo, imminente film di Lars Von Trier, a proposito della cattiva coscienza dell’Occidente in questioni come Irak e Algeria: «La puntura di film come Manderlay e Caché - scrive il giornale Usa in occasione della visione del film al 43° New York Film Festival - ha un effetto salutare, perché il disagio che provocano è l’antidoto alla rassicurazione che, in fondo, ci troviamo da qualche altra parte».
«Un thriller avvolto in una lezione morale, presentato con la vitrea onnipotenza di un vero voyeur», è il sintetico ma un po’ barocco giudizio di Filmcritic.com, mentre il Box Office Magazine (Boxoffice.com) punta sulla «brillante allegoria politica inserita nella forma di un thriller psicologico».
Positivo anche il giudizio dell’autorevole Variety che attribuisce alla regia di Haneke la capacità di mantenere la storia «scorrevole e concisa, in grado di guidare l’attenzione del pubblico dall’inizio alla fine».

Sguardo benevolo sulla coppia protagonista, quello del New York Observer: «Auteuil e Binoche sono alternativamente leggiadri e paurosi, proprio come persone spinte sul ciglio della follia, e il regista sa creare la tensione giusta catturando il loro panico mentre scivolano dalla tranquillità al caos».

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