«Non cambia nulla, la missione continua»

Il responsabile del nostro contingente ad Herat: «Non siamo a rischio zero»

«Non cambia nulla, la missione continua»

La voce del generale Umberto Rossi arriva tranquilla, ma decisa, al telefono dall'Afghanistan, dove i militari italiani sono finiti nel mirino del terrorismo suicida. Cinquantadue anni a febbraio, ufficiale dell'aeronautica, comanda non solo il nostro contingente ad Herat, ma i centri di ricostruzione provinciale (Prt) di diverse nazioni nelle quattro province occidentali dell'Afghanistan. Fra questi il Prt americano nella zona di Farah, da dove, secondo la rivendicazione, sarebbe arrivato il kamikaze.
Ad Herat si è verificato il primo attentato contro gli italiani. Lei si aspettava un attacco kamikaze?
«Di informazioni sulla presenza di nuclei con questa particolare vocazione ne avevamo ricevute. Per dire il vero riguardavano maggiormente le zone meridionali ed orientali dell'Afghanistan, ma non era escluso che potessero materializzarsi anche da noi».
Nell'attacco sono rimasti feriti lievemente tre soldati italiani. Tenendo conto che della macchina minata è rimasto ben poco, non lo considera un miracolo?
«Voglio assicurare che i ragazzi stanno bene, anche se sono ovviamente un po' colpiti dall'accaduto, ma non hanno problemi fisici o psicologici. Diciamo che un insieme di circostanze ha evitato il peggio: un po' volute, come la reazione della colonna, ed un po' fortuite».
Pensa che si tratti dell'apertura di un nuovo fronte, in una zona tranquilla come Herat?
«Difficile dirlo, ma non credo. Invece è evidente l'esistenza di un disegno destabilizzante che riguarda l'intero Paese. Basta osservare la geografia degli ultimi attentati avvenuti sia a sud, che a nord ed ora anche ad ovest».
Negli ultimi due mesi i resti dei talebani hanno scatenato un'offensiva di attentati suicidi, una tattica scarsamente utilizzata prima. C'è lo zampino di Al Qaida?
«Sicuramente esiste un orientamento di tipo terrorista, ma le rivendicazioni, per quello che valgono, sono state sempre fatte dai talebani. Dal punto di vista tecnico-militare un attacco come questo non si improvvisa. Un appoggio esterno è presumibile».
Gli italiani, per il particolare tipo di missione, girano in macchine civili, non blindate, come quella semi distrutta dall'attentato. Cambierete sistema?
«Non possiamo andare in giro per i villaggi con i carri armati vista la nostra missione di ricostruzione ed aiuto. Ovviamente i veicoli convenzionali hanno bisogno di un’adeguata protezione. Adesso valuteremo un eventuale irrigidimento, ma non bisogna esagerare».
Pensa che i terroristi volessero colpire proprio i Prt, ovvero una missione più di aiuto che militare?
«Se intendono colpire la ricostruzione del Paese allora è motivata la nostra presenza, che ovviamente non può essere considerata a rischio zero.

Non esistono elementi per indicare che nel mirino eravamo specificamente noi italiani. L'immagine dell'Italia da queste parti è positiva, la gente ci saluta e ci rispetta. L'attentato non cambia nulla: la missione continua».

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